Emergenza di gregge

Immunità di gregge. Cos’è? È quando il numero delle persone contaminate ma guarite sviluppando propri anticorpi o assumendo un vaccino appropriato, aumenta progressivamente e in misura tale da non permettere più al virus di trovare agevoli vie di trasmissione tra un individuo e un altro, formando così uno scudo di protezione anche per le altre persone ancora indifese e passibili di contagio. La matematica ha sviluppato un suo complesso modello di calcolo (SIR) in grado di descrivere lo sviluppo di tale progressione nel tempo. All’avvento di questa soglia cruciale si riferisce la virologa Ilaria Capua nei suoi frequenti collegamenti televisivi dalla California. Nella terrorizzante corsa tra il collasso per sovraccarico delle strutture sanitarie e lo scoccare del salvifico momento immunitario collettivo, dobbiamo rubare, guadagnare tempo a favore di quest’ultimo, rallentando al massimo la diffusione del contagio virale.

Non la pensa allo stesso modo l’altrettanto stranoto virologo Roberto Burioni, il quale ha dalla sua l’averci preso, fin dall’inizio, molto più di altri suoi colleghi. Siccome questo virus è completamente nuovo e sconosciuto nei suoi sviluppi, mutamenti, adattamenti, noi non possiamo in nessun modo dare per scontato che esso sia classificabile sotto le precedenti leggi osservative. E ciò vale sia relativamente ad altri due aspetti. Sia che con il progressivo aumento della temperatura stagionale esso si indebolisca – come i virus delle precedenti infezioni respiratorie già neutralizzati –, sia che le persone già infettate non possano più infettarsi, grazie alle reazione anticorpale sviluppata e consolidata. Anche perché – relativamente a quest’ultimo aspetto – ci sono già altri virus come quello detto sinciziale, che colpisce l’apparato respiratorio dei bambini, e quello dell’epatite C, Hcv, che pur dando luogo alla difesa anticorpale, espongono anche a successive ricadute.

L’insistenza, però, della Capua e della Gismondo sulla vera percentuale tra morti e infettati consiste in questo. Se su ogni 100 infettati ne muoiono 5, la percentuale è ovviamente del 5%. Me se il numero di infettati reali fosse superiore, poniamo 1000, ossia contemplasse anche il numero di tutti i positivi non diagnosticati, perché asintomatici o non sottoposti all’esame del tampone, allora – aumentando il denominatore – la percentuale scenderebbe (nel caso posto qui in ipotesi) allo 0,5%. E questa percentuale rientrerebbe in pieno nel dato statistico della mortalità annuale per normale influenza, polmonite fulminante, ecc. Inoltre: questo è un virus diretto, o parassita? Ossia: causa l’aggressione respiratoria per via diretta, o può innestarsi e agire, unicamente per via traversa, indirettamente, parassitando una patologia già preesistente nel soggetto infettato? La difformità di vedute tra virologi riflette soprattutto una loro differente sotto-specializzazione e diversa applicazione nel campo clinico. Resta, però, che questo coronavirus manifesta un rilevante aspetto mutageno, intellettivo-selettivo, quasi avesse stratificata nella sua composizione di acido nucleico RNA e impalpabile involucro proteico una memoria adattativa.

Il fattore dell’assoluta imprevedibilità del nuovo che avanza, ossia la sua caratteristica di sfuggire a ogni precedente legge e calcolo scientifico-predittivo, è stato chiaramente affermato a metà del 700 dal filosofo scozzese David Hume. Il suo empirismo e scetticismo arriva a mettere in discussione la stessa legge di causa ed effetto, ossia che da una causa A scaturisca un effetto B sempre calcolabile, da assumere come certezza. Per Hume, invece, solo l’osservazione empirica della natura, dei suoi fenomeni, lo studio sperimentale possono e debbono via via guidarci nell’azione concreta. Via via, ossia passo dopo passo, senza alcun a-priori, esponendosi al contrario al fallimento di ogni nuovo arrembaggio, prova, tentativo, perché non c’è alcuna legge certa e definitiva che possa autenticamente illuminarci. Sperimentale, empirico (dal greco antico em-peiria) hanno la stessa radice etimologica di perizia, e anche di pirata (peira-tes, peir-ao), ossia di chi cerca, tenta di conseguire avventurosamente, perigliosamente ma con intelligenza e capacità un ricavo personale.

Immaginiamo che oggi, con un prodigioso ritorno al futuro, David Hume ripiombasse dopo due secoli e mezzo in Inghilterra e gli mettessero di punto in bianco un microfono davanti per commentare l’annuncio del premier Boris Johnson e del suo consigliere scientifico Patrick Vallance. Ci riferiamo a quello di lasciare contagiare il 60% della popolazione, ossia di circa 40 milione di persone – con conseguente percentuale di morti – per sviluppare l’immunità di gregge. Ecco, il filosofo scozzese non avrebbe nessuna esitazione nel definire scellerata tale decisione, proprio sulla scorta di argomentazioni simili a quelle svolte da Burioni.

Dalla stessa metà del 1700, però, piomberebbe su quello stesso microfono un medico ed economista francese per contestarlo aspramente. Si tratterebbe di François Quesnay, iniziatore della dottrina fisiocratica. Questa, a sua volta, ha derivato dall’economista de Gournay la celebre espressione laisser faire, laissez passer, lasciar fare, lasciar passare, all’origine del pensiero liberista. Secondo il filosofo contemporaneo Giorgio Agamben è in questo crocevia storico che origina lo stato d’eccezione, l’emergenza permanente come sistema di governo. I fisiocratici affermano che non bisogna più prevenire uno dei mali peggiori della loro epoca, la carestia. Al contrario, bisogna farla accadere, lasciarla correre liberamente, per governarla, rovesciarla a proprio vantaggio, in nome della pubblica sicurtà. Alla stessa stregua in mare non si può impedire una tempesta. Si può e si deve però saper pilotare bene la nave. E in francese timone si dice proprio gouvernail.

Ecco: il premier britannico e il suo consigliere medico-scientifico sembrano volersi attenere proprio a quest’ultima massima. Hanno laconicamente sospirato: “Moriranno molti cari”. Quanti? Da un minimo di mezzo milione ai due milioni e mezzo, in base alle percentuali attuali tra infettati e morti, forse che oscillano tra l’1% e il 6%. Non previde Wiston Churchill, a cui si ispira Boris Johnson, nell’ora più buia, la perdita di trentamila soldati inglesi e della maggior parte dell’armamento britannico sulla spiaggia francese di Dunkirk, stretta nella morsa bellica nazista? In compenso il governo inglese non spenderà soldi per curare, ricoverare, rafforzare le strutture sanitarie, aumentare il debito pubblico per sostenere l’economia in crisi. Lo stato d’eccezione, l’emergenza di gregge da tosare, sgozzare, e far ingoiare al popolo inglese quale sarebbe allora? Appunto nell’eliminazione, crudele, spietata ma necessaria in nome della sicurtà, della salute pubblica, proprio dei più deboli, fragili, meno protetti. Anziani, pensionati, poveri, malati, sofferenti di altre patologie che rappresentano una zavorra costosa e inutile per lo Stato. Un bel ripulisti sociale, un alleggerimento economico insperato, impossibile da realizzare prima di questa tempesta sanitaria e da non lasciarsi perciò sfuggire in nessun modo, tenendo ben ferma la barra del timone, del gouvernail. La barra e anche la bara.

E qui arriviamo al vero nodo cruciale, tragico. Il bio-potere che rinunciava al diritto di morte del sovrano sul suddito per garantirgli invece il bios, la vita, al fine però di sorvegliarla, irreggimentarla, sottometterla, sfruttarla, si mostra ora come la minaccia fisica e psichica più letale. Il laissez faire, laissez passer, infatti, si svela direttamente attraverso il suo più autentico sottosuolo: la corsa senza più reni verso il laissez mourir.

di Riccardo Tavani

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