Cine-pillole ancora con #Ennio e Peppuccio Tornatore

Stringimi forte. Con-fuso. L’assunto drammatico è in sé semplice. A indicarlo, anche succintamente, già ne si farebbe però lo spoiler. Tutta la costruzione registica è tesa a un complesso lavoro di montaggio che alterna visioni deformate da delirio e dolore a pochi improvvisi sprazzi di realtà. Essendo i due aspetti con-fusi, intrecciati insieme, lo spettatore non capisce mentre guarda il film che si tratta di due piani diversi. Tutto il quadro lo si riesce a ricostruire solo alla fine. Troppo facile e anche inutile giocare così.

Open Arms – La legge del mare. Da una storia vera ancora in atto. Un bagnino spagnolo di Barcellona, nell’autunno 2015, assiste in tv al dramma dei migranti annegati davanti all’isola greca di Lesbo, tra cui il bambino Alan Kurdi. Parte immediatamente con un paio di suoi colleghi al fine di prestare aiuto. Solo per qualche giorno, dice: ancora oggi è lì. Il film narra vicende purtroppo vere, anche se lo fa attraverso non un documentario, ma un vero e proprio film narrativo. Il bagnino spagnolo, infatti, si chiama Oscar Camps e il film narra della sua fondazione della Ong Open Arms, Braccia Aperte. Alcune impressionanti scene in mare aperto mostrano non solo l’intensità, ma anche l’estensione del dramma. Una grande interpretazione di uno dei più apprezzati attori spagnoli: Eduard Fernández. 7 Candidature ai Premi Goya. Premio del Pubblico al Roma Film Fest 2021.

The Wall of Shadows – Il Muro d’Ombre. Alpinistico-antropologico. Vicenda non solo di scalatori e della loro sete di conquista, ma anche degli scerpa nepalesi che li accompagnano, sottoponendosi a fatiche immani e di cui viene trascurata la dimensione umana, spirituale. La conquista da realizzare è la cima del Kumbhakarna, per la via della sua parete est rimasta fino ad oggi inviolata. Conosciuta anche come Jannu, questa montagna è considerata sacra. Scalarla è come violare il corpo del dio Kumbhakarna in cui essa consiste. Per questo gli sherpa la temono e, costretti al loro lavoro per necessità di sopravvivenza, ricorrono a riti e ad altri accorgimenti di rispetto per attenuare l’impatto della spedizione. Nonostante non sia neanche un Ottomila, e sia solo la 32a vetta più alta del mondo, con i suoi 7710 m, è considerata la più difficile da scalare. E questo documentario lo sancisce. La regista Eliza Kurbaska, infatti, non deve limitarsi a staccare le immagini, il più ravvicinate possibile, della proibitiva impresa nella sua prima fase. Ma anche, in quella del rientro, ad adoperarsi in prima persona perché i due alpinisti russi riportino la pellaccia a casa, allo stremo delle forze e privi ormai di cibo e bevande. In fondo, non c’è nessun bisogno che un dio prenda la forma di una montagna per considerare questa sacra. Essa lo è in sé stessa, per quello che è proprio in quanto vivo ammasso di rocce, ghiacci, nevi, venti, slavine e valanghe. E in quanto tale da non violare.

Il discorso perfetto. Volendo si può perfettamente schivare. Che la ComédieFrançaise ci abbia messo dentro dei suoi attori, più che di un film, ne fa un saggio teatrale di fine corso. Adrien viene non mollato, ma messo in pausa, per un periodo di 38 giorni, dalla sua ragazza Sonia. Intanto, durante una cena di famiglia, suo cognato Ludo gli chiede di tenere il discorso per il prossimo matrimonio con sua sorella Sophie. Niente più lontano dalle sue capacità umane. Il film si mette così in forma di un montaggio di immaginarie prove discorso, con situazioni paradossali ma scontate, già viste, con il protagonista che fa battute a sé, ossia rivolte in piena scena al pubblico in sala. Inoltre, quando stai già per rallegrarti perché nel film non compare neanche una sigaretta, lui se ne accende una, ma strategica. L’aspira, la gusta profondamente, e all’improvviso è illuminato dall’idea che risolve tutti i suoi guai. Una sola sigaretta, ma strategica.

Encanto. Animazione musical in mutazione Disney. Mirabel è l’unica della grande famiglia Madrigal a non possedere un suo talento. Ma la visione della disgrazia che si sta abbattendo sulla casa la mette davanti a sé stessa, e la costringe a trovarsi. Ambientato in Colombia, intriso di realismo magico à la Gabriel Garcia Marquez, il film è un complesso tentativo disneyano di stratificare insieme mutamenti tecnici nel tratto grafico e contenuti emotivo-narrativo-ideali. Più riuscito il primo che il secondo, ma certamente questo film segna la prima tappa di progetto in sviluppo. 3 candidature ai prossimi Premi Oscar.

After Love. Prezioso. Due donne, una inglese, l’altra francese, sulle sponde opposte della Manica, tra Dover e Calais. In mezzo le solite navi e un uomo, un pakistano. La sua figura pur nella sua assenza, però, si stagliano come un lungo solco che fende le bianche scogliere sul canale di mare. Due donne e il figlio di una di esse che ignare di tutto vedono questa fenditura spaccare a metà la loro intera vita. I sei maggiori premi al British Indipendent 2021.

Assassinio sul Nilo. Genere filmone remake con morti ammazzati e detective sullo stesso battello. Remake di un film del 1978, tratto da un giallo di Agatha Christie. Dopo Assassinio sull’Oriente Express, prosegue la joint venture tra il pronipote della scrittrice e l’attore regista Kennet Branagh. Intrecci e rancori amorosi, con relative mire economiche precipitano in una serie di delitti a bordo di un lussuoso battello fluviale che naviga sul Nilo, in occasione del viaggio di nozze di una giovane ricca sfondata ereditiera e un bell’uomo rubato alla sua migliore amica. Tra gli ospiti c’è anche il famoso detective privato Hercule Poirot, interpretato dallo stesso regista. Tutto il film precipita disastrosamente dopo una prima parte sfolgorante per buone inquadrature, movimenti di macchina da presa, musica, atmosfere ed paesaggi rifatti al computer, e prima che inizi la sequela cadaverica. All’autore, infatti, sembra non fregargliene niente della consequenzialità logica dell’intreccio e della correttezza narrativa nei confronti degli spettatori. Forse proprio perché dà per scontato che si tratti pur sempre di un remake. Ma anche per chi – legittimamente – non conoscesse romanzo e film precedente, colpi di scena e fulminanti svelamenti giungono troppo rapidamente, caoticamente e nello stesso tempo troppo poco emotivamente coinvolgenti. Speriamo in meglio nel prossimo prevedibile adattamento della stessa ditta.

Giulia. Una generazione sulla strada nuda dell’esistenza. Dopo il folgorante e scanzonatamente serio esordio di Spaghetti Story, del 2013, Ciro De Caro, dopo Acqua di marzo, del 2016, firma quest’ultima sua opera, ambientata e girata in piena pandemia. Rosa Palasciano, che interpreta la protagonista, è coautrice con lui della sceneggiatura, riscritta in itinere, mentre il film si girava, scena dopo scena. Giulia si aggira tra le strade di Roma e di Ostia Lido, senza una fissa dimora, un lavoro fisso, un legame sentimentale stabile. È l’emblema della condizione della generazione presente, quella che deve scrivere e riscrivere il copione del proprio futuro ogni giorno, ciack dopo ciack. La sensibilità di attrice-autrice e del regista staccano tranche di situazioni, frasi, atteggiamenti, sfumature emozionali denudate di qualsiasi ormai inutile retorica cinematografico-esistenziale. Vere perle di poesia nel continuum nell’indifferenziato squallore interiore-esteriore che risplendono in esso, pur senza poterlo riscattare. Ciro De Caro non sbaglia un film, per questo è incomprensibile la limitata circolazione che la sua opera deve subire.

Corpo Piccolo. Mirabile. Al confine d’Italia e Slovenia, ai primi del Novecento, in una povera comunità di pescatori, Agata partorisce una bambina senza più respiro. Lei vorrebbe ugualmente battezzarla, ma la Chiesa non lo consente. Un vecchio nel bosco le dice che a nord, tra le montagne, lui ha visto con i suoi occhi che in una chiesa riescono a ridare ai nati morti quell’attimo di respiro per poterli battezzare. Agata parte da sola, senza il suo uomo, a piedi per dare almeno il nome a sua figlia. Una delle prime inquadrature del film è un gruppo di donne che accompagna Agata, ancora con gravida, sulla spiaggia. È una citazione dal quadro di Pellizza da Volpedo, Quarto Stato, ma tutto soltanto al femminile. E quello di Agata sarà un disperato calvario con stazioni fatte soltanto di donne anche cattive, ma sempre attive, a differenza di uomini sempre assenti seppur presenti. Un racconto, una favola antropologica spoglia, tra paesaggi boschivi e monti brulli, vette innevate, con un Caronte traghettatore di un lago verso l’ultima tappa per un respiro che potesse tornare fino al Mare.

Atlantide Perla di capolavoro più unica che rara. Un inizio à la A propos de Nice, di Jean Vigo, con teneri corpi giovanili al sole della Laguna. La vita di ragazze e ragazzi, bagni di mare e gare con barchini modificati tra le isole e i canali periferici di Venezia. Barchini inseguiti anche dai motoscafi della Finanza per traffici illeciti. Quattro anni di frequentazione, amicizia, immedesimazione con luoghi e persone. Tra questo popolo, il regista ravennate Yuri Ancarani, stacca un giovane, Daniele e lo elegge a protagonista di un’opera d’arte visiva e musicale che rompe in maniera travolgente il confine tra film documentario e film narrativo, squarciando un orizzonte inedito per il cinema dopo di lui. Si configura come una vera e propria censura la circostanza che questo capolavoro sia poco e niente circolato o sia relegato in pochissime sale in Italia e a orari secondari. Censura ideologica, da obnubilamento della parola, del pensiero, dello sguardo critico-filmico che porta il complessivo sistema cinema a negare a sé stesso e agli spettatori una simile folgorante visione d’arte.

11 minuti. Disperatamente serrato. Undici minuti, dalle 17 alle 17.11, di alcune persone in una qualsiasi giornata a Varsavia. Un poliziotto geloso e la sua donna attrice attirata dentro una trappola sessuale in una stanza d’hotel da un produttore forse anche finto; un giovane corriere di droga e suo padre ex prof appena uscito di galera che vende ora hot dog per strada; un gruppo di suore che vanno da lui affamate; una ragazza punk cui mollano un cane lupo dopo una lite; un’attrice porno e un lavavetri di facciate di palazzi; una dottoressa e infermieri d’una ambulanza per le emergenze; un anziano pittore dilettante e uno strano studente; un autobus di linea urbano: un campione d’umanità incastrata dentro quei micidiali 11 minuti. Montaggio serratissimo, scene riprese più volte dai diversi punti di vista dei vari personaggi, con disvelamento di dettagli precedentemente non osservabili. Una visione implacabilmente sine dea ultima spes, perché l’umanità – buona o cattiva – è tutta connotata da comune follia della volontà. Gratuito su Rai Play.

Ennio. #FenomenoFilm. Dopo le due anteprime del 29 e 30 gennaio di cui abbiamo già scritto, esce dal 17 febbraio stabilmente nelle sale il capolavoro di Giuseppe Tornatore Ennio, sulla vita e la musica non solo per il cinema del Maestro Morricone. Un’opera che non si può mancare, anche perché essa ha la capacità di riunire, di far ritrovare insieme una paese straziato, diviso da due anni di pandemia. Un film in questo senso politico, nel significato che i greci davano alla parola polis, città, agorà, stato comune delle diversità. Proprio perché invece la politica politicante dà sempre più evidenti segni di non saperlo, poterlo, volerlo più fare. Il linguaggio della musica e delle immagini essendo davvero uno stato comune, sia della nostra percezione sensibile, sia del pensiero poetico- esistenziale universale, unendosi oltre la babele delle lingue e dei suoi inevitabili fraintendimenti, si mostra per questa ineffabile suadenza di canto e d’incanto.

di Riccardo Tavani