Mantenimento figli e poteri di determinazione del giudice

Il Giudice non ha l’obbligo di attenersi alle richieste dei genitori.
Il mantenimento dei figli costituisce spesso motivo di lite tra i genitori.
In una gestione civile e di buon senso, atta a prevenire spinose situazioni conflittuali in danno di tutti le parti, i genitori scelgono di addivenire ad una soluzione consensuale, pervenendo ad un accordo che regolamenta i rapporti personali e patrimoniali.

Essi sono liberi di determinare la misura dell’assegno per i figli, stabilendo anche il contributo per le spese straordinarie; oppure, in rari casi, possono decidere di escludere il ricorso all’assegno e concordare un mantenimento diretto. Il Giudice, valutato l’interesse del minore, omologa l’accordo. Nella separazione giudiziale, data l’impossibilità per le parti di giungere ad una soluzione concordata, spetta al Giudice determinare la misura dell’assegno periodico e stabilire la ripartizione delle spese straordinarie; se ne ricorrono le condizioni, il Giudice può stabilire il mantenimento diretto (ipotesi piuttosto rara).

Orbene sulle orme di un orientamento giurisprudenziale consolidato, nella determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli il Giudice può discostarsi da quanto chiesto o concordato dai genitori.
In buona sostanza la Suprema Corte ha ribadito che, la legge vigente disponga in modo chiaro e conforme come “i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli ed al contributo per il loro mantenimento, possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo” e possano essere “emessi dopo l’assunzione dei mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti di Ufficio da parte del Giudice”.
Nel qual caso non valgono, le “normali” regole procedurali per l’acquisizione probatoria. Ciò in quanto la normativa pertinente opera una deroga alle regole generali sull’onere della prova, attribuendo al Giudice poteri istruttori d’Ufficio per finalità di natura pubblicistica.

Di conseguenza le domande delle parti in tema di assegni in favore della prole non possono essere, semplicemente, respinte, laddove vi sia una non completa dimostrazione dei fatti sui quali le stesse si fondano, ma, al Giudice viene richiesto di operare, sempre, una adeguata verifica delle effettive condizioni patrimoniali dei genitori e delle esigenze di vita dei figli, verifica esperibile anche d’Ufficio.

E’ così fatto sempre salvo il potere del Giudice di adottare d’Ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli, ivi compresi quelli di attribuzione e determinazione del quantum del contributo di mantenimento. L’esercizio di tali poteri non sempre va a svantaggio dell’onerato.

L’intero impianto normativo oggi esistente nel nostro ordinamento, introducendo il potere di disporre indagini ed assumere mezzi di prova anche d’Ufficio ed operando una chiara deroga alle regole generali sull’onere della prova, consente al Giudice di determinare il contributo, ricorrendo ad ogni elemento e quindi anche quando sia comunque in condizione di desumere aliunde l’attendibilità del dato (anche se solo) prospettato dalla parte. Ciò implica che ogni elemento probatorio, pur depositato tardivamente (anche ad esempio il rapporto dell’investigatore privato depositato in sede di precisazione delle conclusioni), può mettere correttamente in condizione l’Organo Giudicante di desumere, comunque, un profilo indiziario attestante maggiori redditi con la conseguente corretta determinazione dell’incremento dell’assegno dovuto in favore della prole, sottraendolo all’iniziativa ed alla disponibilità delle parti, ovvero tener conto di eventuali elementi che attestino una modifica in melius delle condizioni e/o incrementi significativi del patrimonio reddituale del genitore collocatario, o una modifica in peius della condizione personale e patrimoniale del genitore non collocatario, pervenendo ad una più equa rideterminazione dell’importo dell’assegno.

Fermo restando che i provvedimenti emessi dal Giudice e relativi al mantenimento dei figli, anche se diventano definitivi, sono sempre soggetti a revisione, se dovessero cambiare le condizioni economiche di una delle due parti, ovvero se dovessero sopraggiungere imprevedibili squilibri che, rispetto al momento dell’emissione della precedente decisione, giustificano un’altra pronuncia che possa riequilibrare la situazione in relazione alla diversa situazione personale, reddituale e patrimoniale complessiva riflettente la posizione di entrambi i genitori e destinata ad avere conforme incidenza sulla revisione.

Avv. Antonella Virgilio

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