Una Pasqua di guerra
Domenica scorsa il mondo ortodosso ha festeggiato la sua Pasqua di Resurrezione, una festa particolarmente sentita, ricca di liturgie solenni, come e forse più che nel mondo cattolico. Oggi che i mezzi di informazione sono particolarmente focalizzati sulla Russia, le reti televisive hanno trasmesso molte immagini della celebrazione nella cattedrale di Cristo Salvatore, officiata dal patriarca Kirill. Come quasi sempre negli ultimi vent’anni (le eccezioni sono state solo due e seriamente motivate) partecipava alla funzione anche Vladimir Putin.
È stato interessante vedere con quanta arte entrambi fingessero di essere cristiani, cioè seguaci di quel Cristo che aveva posto alla base del Suo insegnamento un’unica regola, semplice e chiara: ama il prossimo tuo. Non solo ogni colpo di fucile, ogni bomba, ogni morto, ogni orfano causato dalla guerra voluta da Putin e approvata da Kirill sono opposti al messaggio cristiano, ma sembrano incompatibili con la presenza stessa dei due in una chiesa, a far finta di pregare, di celebrare resurrezione di Cristo.
Devo ammettere che io non mi sento abbastanza cristiano da pensare di porgere l’altra guancia di fronte a un’aggressione armata. Chi ne è capace lo faccia, io non ci riuscirei, come non ci riescono gli ucraini. Forse perché anche resistere alla violenza ingiusta è profondamente cristiano o, per lo meno, profondamente etico. Forse l‘Ecclesiaste si riferiva proprio al diritto a difendersi, nel suo più famoso versetto: c’è “un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace”.
Ma sono abbastanza cristiano da capire che muovere guerra è una negazione del cristianesimo e un oltraggio a Dio, con qualunque nome Lo si preghi. E andare in chiesa, mentre infuria la guerra che si è provocata e approvata, incarna al meglio la definizione evangelica di “sepolcri imbiancati”: belli di fuori, pieni di morte e di “ogni putridume” all’interno.
Certo, non sono loro gli unici “sepolcri imbiancati”. È forse la più orribile delle contraddizioni umane, ma diffusa in tutte le epoche, questo mostrarsi credenti mentre si offende Dio nel peggiore dei modi. Sono innumerevoli i leader politici e i capi religiosi che lo hanno fatto e continuano a farlo. Persino le divise naziste riportavano il motto Gott Mit Uns (Dio è con noi): una bella pretesa, per fortuna negata dai fatti. Forse per questo la forza delle immagini trasmesse in questa Pasqua di guerra mi ha colpito e mi ha fatto rabbrividire: a quanto pare, l’umanità non è ancora pronta a celebrare una vera Pasqua di Resurrezione.
di Cesare Pirozzi