Fraternitè…

La tragedia del mare. Il naufragio di Crotone e le lezioni che non abbiamo imparato. L’inferno esiste perché lo inventiamo noi. Così il naufragio e strage della nave naufragata a poche centinaia di metri dalla costa, rappresenta l’orrore della storia che si ripete e viene continuamente rimossa.

Il nuovo mondo è la fratellanza. Il nuovo mondo è l’uguaglianza. Il nuovo mondo è la libertà.

Al Teatrosophia di via della Vetrina a Roma, va in scena “La reine de marbre” spettacolo multilingue scritto da Francesco Baj e adattato da Flavio Marigliani che interpreta anche capitan Arlecchino, sul palco anche due donne fantastiche, due attrici eccezionali, Mayil Georgi Nieto e Marta Iacopini. Un trio, un ingranaggio perfettamente sincronizzato nell’utilizzo delle lingue, dagli accenti alle parole, niente è lasciato al caso. La drammaturgia, sapientemente scritta da Francesco Baj viene recitata senza recitare. Ognuna delle due donne, sul palco, rappresenta la donna, la madre, la compagna, l’amica, la rivoluzionaria che ogni donna racchiude in se stessa. Una grande prova, con le lacrime nel finale, con il singhiozzo e la voce strozzata durante la recita. Una recita che supera il reale. Una denuncia degli orrori e delle stragi delle nostre sorelle e dei nostri fratelli che affogano nel Mediterraneo, la terra di mezzo, la terra di tutti. La terra che non accoglie e respinge. Marta Iacopini si riprende il femminile, non per vanità, ma per giustizia sociale, nel correggere la sua amica nel ripetere “c’era una volta una regina, chiamo il suo servo e gli disse raccontami una favola…” un nuovo inizio di una vecchia favola che rompe gli schemi maschili e maschilisti anche nel c’era una volta.

L’intensità in ogni parola, la commozione in ogni gesto, la forza espressiva in ogni movimento, trasmettono il dolore e la sofferenza al pubblico, rapito dall’utilizzo di diverse lingue che accomunano nel dolore e danno speranza nella “fraternitè” di sentirsi uguali al clandestino che muore.

Il pianto della madre, esprime il pianto delle madri del naufragio di Crotone, in modo così vero, realistico e cruento, da trasformare l’indifferenza in colpa, i luoghi comuni (siamo in troppi, aiutiamoli a casa loro, non devono partire ecc. ecc.) in responsabilità di non accogliere, respingere e far naufragare. Il naufragio, ci dice Francesco Baj, con le parole delle donne, prima che attrici, e di capitan Arlecchino, è il naufragio dei principi, della morale e dell’etica della fratellanza. Il principio su cui deve basarsi il mondo. Ma tutto viene stravolto. Il male viene trasformato in bene, da una umanità avida e corrotta che pensa solo al denaro e al consumo, così che il mare viene ucciso dalla plastica ogni giorno, e questo dramma a sua volta viene trasformato in progresso.

“Lo sentì il rumore del mare, non esisterebbe senza le orecchie per ascoltarlo perché la natura non fa suono per coloro che non la ascoltano…” versi di poesia pura, recitati in modo sublime “tridimensione linguistica” che rende il pubblico poliglotta dell’ascolto. Una intuizione geniale, sapientemente recitata da un trio che esprime poeticacamente il dolore e lo strazio che davvero sente per i corpi recuperati, ormai senza vita e senza nome sulla spiaggia di Steccato di Cutro in provincia di Crotone.

Con le lacrime agli occhi, iniziamo a pensare, seppur lentamente, che quei morti, quei bambini, quelle madri, sono i nostri morti e le madri che piangono sono le nostre madri che piangono come noi, e che sono nostre “sorelle”.

Ps grazie al direttore artistico Guido Lomoro per il coraggio di mettere in scena spettacoli con tanta forza di denuncia di una questione che prima di tutto è di “fratellanza umana”.

Claudio Caldarelli

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