Il sanghe degli ultimi

Il sanghe napule è il sangue degli ultimi, della intera umanità dei poveri, siano essi rivoluzionari o asserviti ai re o cardinali. Il sangue di San Gennaro è molto di più di una reliquia, è il simbolo della resistenza alla vita contraria, di ogni donna o uomo a cui hanno tolto la dignità di vivere.

All’Ambra Jovinelli di Roma “Sanghe Napule” con la regia e l’interpretazione di un esplosivo Mimmo Borrelli, accompagnato dal racconto poetico di Roberto Saviano, va in scena una Napoli verace, in rappresentanza di un mondo multiforme dove ogni povero si riprende la vita che gli era stata tolta.

Mimmo Borrelli riesce ad incantare il pubblico, con la forza della sua carnalità fisica ed emotiva. Da contraltare Roberto Saviano ci riporta alla mente eventi che erano andati persi nella memoria di ognuno. Il paradiso che è l’inferno capovolto, come le radici sospese della scenografia. Un inferno vissuto giorno per giorno, contro le forze della natura, del potere, della chiesa. Un inferno intercambiabile con il paradiso invocato ma mai raggiunto se non nella adorazione di una reliquia. Il sangue di San Gennaro che si liquefa per resuscitare alla vita la speranza persa di un popolo nomade, ramingo, scacciato, emigrato. Dentro una storia che è la storia, Saviano ci riporta alle origini del male, senza dimenticare la forza delle idee repubblicane e i sogni della felicità mia raggiunta, anche se scritta in quella Costituzione americana, suggerita dal napoletano Filangeri. Sentirsi il sangue ribollire non quando si viene umiliati, ma quando il miracolo avviene. La resurrezione della speranza sepolta sotto le ceneri del Vesuvio.

La povertà e la sofferenza di gente comune che non ha niente, solo un santo a cui votarsi, rimanendo poveri, ma appagati da una immensa utopia che non muore mai. La voce di Saviano entra nelle vene, scorre, si raggruma e poi si scioglie, compiendo esso stesso il miracolo, di attrarre il pubblico in una catarsi che capovolge le parti. Ogni spettatore è un migrante che muore in mare, che vede morire sua figlia di stenti, sua moglie violentata, nel deserto di un oceano che non finisce mai. Un incantesimo, spezzato volontariamente dalle urla di Borrelli, potente e immenso, in grado di dare voce ai disperati, prima in latino volgare, poi il latino napoletano, solo napoletano, con grande sapienza e maestria. È l’ipnosi del pubblico avvolto da una enorme bandiera nera che sventola sulla sua testa, senza nessun cenno di ribellione. La ribellione costata la vita ai grandi intellettuali liberali napoletani, condannati a morte, come San Gennaro, per non ripudiare i loro ideali repubblicani. Con la stessa forza d’animo, Saviano ci risveglia nei ricordi il sacrificio di Bartolomeo Vanzetti, ucciso innocente dal sistema americano, lo stesso sistema che doveva garantirgli la felicità. Le enormi contraddizioni esplodono tutte sul palco, narrate da Mimmo Borrelli come in trance, capovolgendo il significato, per dirci che solo,le contraddizioni di un popolo possono salvare il popolo stesso.

Il sangue degli ultimi, che sono i nostri “sorelli” è il sanghe dei miracoli che non avvengono, ma che noi continuiamo a sognare e sentire, perché abbiamo bisogno di crederci. Per non morire di nuovo, da poveri ma soprattutto da innocenti,

Claudio Caldarelli