Gli Anelli del Potere. Una lettura Romantica
Abbiamo bisogno di Tolkien, ora più che mai.
Delle sue storie, della sua anima, delle stelle remote cui tendono gli elfi e delle gemme preziose che i nani trovano negli abissi della terra. C’è bisogno della nobiltà dello sguardo del re Elendil, il cui nome significa colui che ama le stelle, e dell’altera, sobria e radiosa luce del grande re degli elfi Gil-Galad, il cui nome significa la stella di radianza.
Queste storie ci nutrono, sono un sorso d’acqua nell’arsura desertica che ci circonda nel nostro tempo. Questi racconti luminosi sono essenziali perché ci ricordano chi siamo, ci parlano del nostro valore, del valore di ogni persona toccandolo nell’intimo dei cuori con quella libertà che ha l’arte di beneficare le anime senza irretirsi e irretire nelle secche delle polarizzazioni.
Questa può essere una chiave di lettura del grande successo che sta riscontrando la serie tv Amazon Prime Gli Anelli del Potere, serie prequel del Signore degli Anelli e de Lo Hobbit, che racconta le vicende dell’Ultima Alleanza tra uomini ed elfi, e della splendida vicenda dei grandi re Elendil e Gil-Galad nella loro guerra contro Sauron, incarnazione e rappresentazione del male, combattuto in prima persona anche da una meravigliosa Galadriel, interpretata magnificamente dall’attrice britannica Morfydd Clark. In una stanza polverosa del collegio di teologia di Tübingen, negli anni 90 del 700, due amici fraterni discutevano tra loro con la libertà e la leggerezza proprie delle vere amicizie, di questioni riguardanti anche noi. Uno era cinque anni più grande dell’altro, che era più piccolo di corporatura ed era considerato un genio, tanto che aveva potuto accedere all’università con anni di anticipo rispetto ai suoi coetanei. Il più piccolo si era molto legato al suo amico più grande perché, una volta, durante le scuole, era stato preso di mira dai compagni di classe – oggi diremmo “bullizzato” – e il suo amico, che all’epoca ancora non conosceva, era venuto in suo aiuto difendendolo con coraggio. Quando l’uno tirò su dal terreno l’altro i due si scambiarono uno sguardo che farà nascere un’amicizia, una vera e propria fratellanza, che sarà strettissima almeno per la prima parte della vita dei due. Il più grande si chiamava Friedrich Hölderlin, ed era ossessionato, un secolo prima di Nietzsche, dall’imminente crollo degli dei, dei valori costituiti, della luce del giorno; il “piccolino” si chiamava invece Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling, e col suo amico condivideva la certezza di questa notte che sarebbe venuta e la necessità, attraverso l’Arte, di creare nuovi miti che potessero ricordare agli uomini la loro essenza quando tutte le religioni e gli antichi dei sarebbero morti. Oggi noi viviamo in quella notte che questi amici, insieme con altri grandi spiriti come il nostro Leopardi, videro arrivare con chiarezza. Dürftiger Zeit, tempo di miseria, così Friedrich Hölderlin chiamava la nostra epoca che vedeva svilupparsi ai suoi albori con grande lucidità. In questo nostro tempo le Religioni sono finite, esse non riescono più a parlare ai cuori degli uomini, ai quali non resta che cercare nuove fonti, nuove sorgenti da cui nutrirsi, e questa acqua viva potrà venire, come già intuiva Dostoevskij, soltanto da quell’amore realizzato che è la Bellezza che salva il mondo. Questo discorso credo fosse molto familiare al creatore del Signore degli Anelli, J. R. R. Tolkien, il quale, fervente cattolico, tolse qualsiasi riferimento religioso da tutte le sue opere, pur scrivendole rigorosamente al mattino presto, dopo la messa mattutina. In questo modo lo scrittore britannico ci ha regalato un mondo, una storia, un nuovo mito, capace di tacere completamente e provvidenzialmente di Dio, mentre nutre e alimenta la più profonda essenza che ogni uomo profondamente è: il Divino in noi.
di Giacomo Fagiolini