Cine-pillole di primo autunno ’25
Una battaglia dopo l’altra. Un agguerrito gruppo di rivoluzionari americani è stroncato dai reparti speciali di repressione, ma la storia non finisce lì, anzi… Dal romanzo Vineland, 1990, di Thomas Pynchon, il regista Paul Thomas Anderson tra una storia d’attualità, dinamica tanto nei contenuti, quanto nella forma cinematografica, sia negli aspetti drammatici, che in quelli ironici, a tratti comici. La vera grande prova d’attore è quella di Sean Penn, nei panni dello spietato colonnello a capo dei reparti speciali di sicurezza. Leonardo DiCaprio, esperto d’esplosivi e uno dei leader del vecchio gruppo rivoluzionario, gira tutte le scene della seconda parte in una vestaglia da camera, estremamente simbolica del suo attuale stato di ritiro a vita privata in pantofole, divano e cannabis. Ma anche una citazione del mitico Drugo nel film del 1998nIl Grande Lebowski. Il succo politico del film? “Ragazze/i l’America ha ancora bisogno del vostro slancio ideale, ma nelle forme democratiche”. Certo, ok, peccato che nel frattempo politica e democrazia, non solo in America, siano andare a farsi benedire. Da non perdere. Distribuzione: Warner Bros. Durata: 161 minuti.
Duse. La vita accidentata degli ultimi anni del mito teatrale di Eleonora Duse. Anche Sonia Bergamasco le ha dedicato recentemente il bel documentario Duse, the Gratest. Solo che con questa immensa attrice italiana, venerata in tutto il mondo, esiste un problema molto concreto: nessun attuale vivente l’ha mai vista recitare. Né esistono immagini di questa sua arte. Bisogna escludere anche il film Cenere, del 1916, tratto da un romanzo di Grazia Deledda, per la regia di Fabio Mari. È infatti un film muto e la Duse la vediamo solo muoversi, non recitare, senza neanche avere il ruolo principale. In termini attuali, è come se si facesse un film su Maradona – che di casini personali ne ha avuti anche lui abbastanza – ma senza vederlo mai toccare palla in campo. Così il film di Pietro Marcello, pur apprezzabile a restituirci una pagina di storia patria misconosciuta, risulta frastagliato, senza un vero centro di gravità artistico drammatico, dato che quello che quello che interesserebbe sensibilmente di Eleonora Duse è la sua arte recitativa, non il pianto, la follia, il senso di decadenza dannunziana della sua vita. E anche Valeria Bruni Tedeschi, forse proprio a causa della sua indubbia bravura, è troppo sé stessa, finendo per farci sentire ancora di più il vuoto dell’assenza e dell’essenza artistica della Divina. Distribuzione: PiperFilm. Durata: 122 minuti.
La voce di Hindi Rajab. La drammatica ricostruzione del tentativo di salvataggio di una bambina palestinese con il telefono acceso, ma chiusa da sola in un’automobile colpita dagli israeliani. I fatti si riferiscono al 2024, ma dal punto di vista cinematografico il genere si avvicina a quello dell’instant movie, in cui attori non importanti interpretano i personaggi reali come immersi nel presente dentro una vicenda drammatica nel luogo che simula quello reale. In questo caso un call center della Luna Rossa, cui giungono minuti per minuto richieste di soccorso dalla martoriata Striscia di Gaza. Il realismo è qui accentuato dal fatto che il film mostra il vero tracciato audio del lungo contatto tra operatrici, operatori telefonici e la bambina. Ossia, lo spettatore ascolta spesso la vera voce di Hindi Rajab e di chi tenta di starle vicino, farle coraggio, confortarla, ma solo telefonicamente. E poi vede – dal display di uno smartphone posto davanti la scena ricostruita – il vero volto dell’operatrice che le è rimasta vocalmente accanto fino alla fine. Si può discutere sulla forma cinematografica scelta, ma allo stesso tempo ci si deve chiedere come altrimenti poteva essere resa questa spietata vicenda di massacro voluto di una bambina. Da non perdere. Leone D’Argento Mostra Cinema Venezia 2025. Distribuzione: I Wonder Pictures. Durata: 89 minuti.
Come ti muovi, sbagli. La forza debole in dote Gianni Di Gregorio, similmente all’interazione debole in fisica, si svela come una di quelle fondamentali nel cinema. Non è tanto la fragile storia in sé a contare, quanto la filosofia e la faccia dell’autore e attore protagonista nell’affrontarla. Un professore di storia in pensione, alle prese con un difficile saggio da portare a termine, improvvisamente trova la sua tranquillità domestica a Roma invasa dalla figlia e due nipoti, che hanno abbandonato la loro casa in Germania, causa il tradimento del coniuge con una giovane studentessa. La pazienza, lo spirito di sopportazione, fino all’estremo di una gentilezza tenace, mai piegata, indefettibilmente agita, con cui il prof affronta ogni evenienza, sono la vera cifra del film e di un senso dell’esistenza profondo. Cifra e senso che – prima ancora che dalle situazioni, dalle parole, dai dialoghi – scaturiscono dal disarmante atteggiarsi squisitamente fisico, di mute pieghe e silenzi facciali del protagonista. Da vedere. Sceneggiatura: Marco Pettenello. Distribuzione: Fandango. Durata: 97 minuti.
Together. La caverna di Platone colpisce ancora: in direzione horror. Una coppia si trasferisce in campagna, per il lavoro di lei, maestra elementare. Lui è un musicista blues-rock senza il minimo successo. Il preside della scuola, un quarantenne piacente, abita in una villetta a due passi dalla loro. Durante uno dei primi giorni, fanno una gita nel bosco, li coglie un temporale, e finiscono per precipitare in una caverna sotterranea. Da quel momento qualcosa cambia, si rovina, diventa inquietante nella loro relazione. Il preside piacente ma anche ambiguo ricorda a lei uno dei miti narrato da Aristofane nel dialogo di Platone, Il Simposio. Quando gli uomini erano quattro braccia, quattro gambe e due teste, e Zeus li divide in due per punire la loro arroganza di potere. Da quel momento ogni metà è condannata a cercare l’altra per riunificarsi a lei. Lo stile, la fotografia, le luci e ombre, l’ambientazione del film è tutto, però, realizzato in una cifra parecchio vecchia. Non ci sono neanche scene così pazzescamente horror, poi. Il finale, in linea, con l’assunto platonico, può andare. Solo che per attingere a una soglia cinematografica superiore, andava meglio indagato il tema preplatonico del superamento del principium individuationis, che da Dioniso conduce fino a Nietzsche. Distribuzione: I Wonder. Durata: 102 minuti.
Jane Austen ha stravolto la mia vita. Si può scrivere bene senza amare, e si può amare senza scrivere bene? È il dilemma della mancata scrittrice Agathe Robinson che lavora nella mitica libreria Shakespeare&Co. di Parigi. Mancata, nel senso che ne ha scritti centinaia di inizi di romanzi, ma non ne ha mai sviluppato nessuno, e non riesce proprio a farlo. Il suo collega e pretendente Félix, senza dirle niente, la iscrive a un soggiorno per scrittori presso la Jane Austen Residency, in Gran Bretagna, essendo la scrttrice inglese il punto di riferimento letterario, ideale ed esistenziale di Agathe. Quando giunge la comunicazione ufficiale della sua ammissione, a lei non resta che accettare, nonostante la sua dichiarazione di totale inadeguatezza di partenza. E di fatto, lei si presenta come una vera pagina bianca, mentre le altre, gli altri partecipanti di pagine ne hanno scritte molte. Ma è soprattutto il tema dell’amore che inizia a ordire e dettare ad Agathe la sua trama, lasciandola in sospeso fino alla fine, tra dramma, conflitto e commedia sentimentale. Da vedere per gli amanti del genere. Distribuzione: Movies Inspired. Durata: 94 minuti.
Zvanì – Il romanzo famigliare di Giovanni Pascoli. Il titolo dice chiaramente che più dell’arte, della poesia, si narra delle vicende familiari del poeta. Zvanì nel dialetto emiliano è il modo di dire confidenzialmente Giovanni. Realizzato dalla Rai, il film mantiene tutte le caratteristiche del prodotto televisivo. Un treno parte da Bologna con il feretro di Pascoli e un seguito di familiari, suoi studenti e qualche rara autorità. Destinazione Castelvecchio di Barga dove il poeta risedeva con una delle sue due sorelle. Man mano che il treno avanza, il treno va indietro nella memoria, ricostruendo le tappe della vita accademica e familiare di Pascoli. A bordo c’è anche un suo ex studente, il quale aveva anche lui iniziato a insegnare e poetare, ma ora ha preferito darsi al giornalismo, ricevendo l’incarico dal Corriere della Sera di scrivere un ritratto, più dell’uomo e delle sue vicissitudini personali che del poeta. Questo con sommo sdegno della sua fidanzata, la quale, invece, è una biografa ed estimatrice più dell’alto valore letterario del poeta. Praticamente quello che vediamo nel film è quello che scrive il giornalista. Dato che nel film si vedono anche Giosuè Carducci e Gabriele D’Annunzio, ci domandiamo se non sarebbe stato il caso di far trapelare più temi squisitamente letterari, dato che attraverso la loro poesia passano anche contenuti esistenziali, di pensiero, di vita nazionale, di valori e caratteristiche umane ancora attuali. Come se il pubblico non avesse più bisogno di questo che di una piatta vicenda biografica del professor Pascoli, in cui emerge soltanto la singolarità prettamente casalinga di due sorelle che hanno vissuto sempre con lui, a parte una che poi si è sposata. Ma certamente sarà un grande successo televisivo. Distribuzione: Accademy Two. Durata: 110 minuti.
Sotto le nuvole. Gianfranco Rosi, il Maestro pluripremiato del documentario, ci conduce in una Napoli mai esplorata prima: sotterranea, notturna, plumbea, sempre sotto maree di nuvole scure e pioggia. Dalle emergenze nei call center dei Vigili del Fuco partenopei sempre in attività febbrile, alle immersioni nel sottosuolo dei Carabinieri e del Procuratore della Repubblica che constatano la razzia di camorra e tombarola di preziosi reperti artistici e archeologici. Ma altri scavi sono in corso sotto la Villa Augustea di Somma Vesuviana da parte di un gruppo di archeologi giapponesi. In superficie, invece, Titti, un vecchio libraio, mette a disposizione una grande sala carica di libri a guaglioni e guaglioncelli per aiutarli a fare in compiti a casa e a ripassare le lezioni. Il tutto dentro un grondante umidità ma esteticamente rigorosissimo bianco e nero cinematografico, in una città che dai Campi Flegrei al Vesuvio ribolle sotto e smotta in superficie. Non solo di magma e terriccio, ma anche di idealità e arte. Da vedere. Premio Speciale della Giuria Venezia 2025. Distribuzione: 01. Durata: 115 minuti.
Bugonia. Uno dei film più comprensibili di Yorgos Lanthimos, ma che allo stesso compie un pazzesco rovesciamento del nostro senso comune della verità e della realtà. Bugonia, il titolo, è legato a un antico mito greco, secondo il quale dalla carcassa in putrefazione di un bue nascono spontaneamente sciami d’api. E in effetti sono proprio le api, il loro allevamento che vediamo a inizio film. L’allegoria mitologica, però, qui è molto più attuale. Dal marciume, dalla corruzione, dai piani e complotti segreti del grande potere ed economico, nascono sciami di idee, teorie nuove in grado di smascherare la putrefazione. Che si tratti di roba tipo terrapiattismo o incombenti realtà extraterrestri cambia poco. Emma Stone, attrice feticcio del regista greco, recita quasi tutto il film con i capelli rasati, proprio alle prese con un alveare di questo tipo, sebbene costituito da due sole api, ma micidialmente impazzite. Remake del film coreano Salvare la Terra!, 2003, di Jang Joon-hwan. Da vedere oltre il genere. Distribuzione: Universal Pictures. Durata: 120 minuti.
Le città di pianura. Uno dei migliori film italiani in circolazione all’atto di scrivere contenente anche un’inedita e bella pagina di architettura contemporanea. Un road movie dove un giovane Trintignant meridionale viene sviato dai suoi studi universitari da architetto e caricato non su una spider da un esuberante tipo alla Gassmann, ma da due ambulanti dell’ultima birra senza fine mai della giornata sul loro vecchio scassone. La meta? Seguire una ragazza di cui il giovane si è chiaramente invaghito, ma non avendo le palle per dirlo, ci vogliono pensare loro ad aiutarlo. In realtà tutto un alcolico andare e tornare tra loro imprese passate, tipo quella mitica barcata di soldi fatti sparire dal loro amico Eu-Genio, prima di sparire lui in Argentina per non farsi carcerare in Italia. Quasi la sopravvivenza ancora dell’umanità fosse possibile soltanto su quella linea sottile della sua definitiva scomparsa, al confine non solo topografico tra le montagne e le città di pianura universalmente venete. Distribuzione: Lucky Red. Durata: 98 minuti.
Un film fatto per Bene. Questo l’altro miglior film italiano all’atto di scrivere. Essendo firmato, però, da Franco Maresco, attenzione: non potete aspettarvi certo una narrazione normale! Ma è proprio questo il suo bello, autentico, e innovativo. Finalmente si vede veramente qualcosa di nuovo, inedito, diverso, crudo, velenoso, geniale. Il mero spunto narrativo è il tentativo ormai fallimentare del regista di girare un film che ha come protagonista Carmelo Bene, trovando anche un attore che sa ben interpretarlo sia nel atteggiamento fisico, sia nell’improntitudine irruente, ma traslandolo poi anche su altri attori, tra cui Antonio Rezza. È quasi un investirsi della sua eredità creativa e corrosiva. E questo Maresco lo fa mettendo sotto accusa il sistema cinema italiano, fino al suo produttore Andrea Occhipinti, e naturalmente anche sé stesso, arrivando a concepire anche la propria estinzione. L’autore interseca e stratifica tra di loro diversi piani narrativi e stilistici per farli poi convergere in una specie di unità scombinata, ma forse proprio per questo l’unica ancora possibile. Paradossalmente il titolo stringe in sé anche il significato di film fatto per pura bontà. Distribuzione: Lucky Red. Durata: 105 minuti.
L’Attachement – La Tenerezza. L’amore tra gli adulti e quello per i figli, anche non propri: il sensibile intreccio sotterraneo e un legame che non si lascia negare in superficie. Cinquantenne single senza prole, indipendente, femminista, libraia, Sandra si trova improvvisamente a fare da mamma a Elliot, il bambino della coppia dirimpettaia, la cui madre muore in ospedale durante il parto della seconda figlia. Il bambino si attacca così fortemente a lei da coinvolgerla profondamente. Alex, il marito della partoriente morta, non è il padre di naturale di Elliot, avuto dalla un precedente matrimonio della donna. Di fatto, però, anche tra lui e Sandra si crea un rapporto di assiduità, intimità porta a porta. Le cose si complicano, però, e prendono una strada diversa da quello che dettano i sentimenti più autentici. Tutto il film è scandito in capitoli che indicano via via le date di crescita della neonata Lucille. Davvero sensibile l’interpretazione di Valeria Bruni Tedeschi nel ruolo di Sandra, ma convincente anche Pio Marmaï in quello di Alex, per non parlare di César Botti in quello del piccolo Elliot. Valida la regia di Carine Tardieu. Tratto dal romanzo L’intimité, 2020, di Alice Farney. Da vedere. Distribuzione: No. Mad Entertaiment. Durata: 106 minuti.
La mia amica Eva. Un’altra cinquantenne, questa volta tentata dal serpente dell’amore, dell’eros originario. Consulente editoriale, Eva è in trasferta a Roma per pochi giorni. Nel suo stesso albergo alloggia già da qualche tempo, uno sceneggiatore cinematografico di nome (anche lui) Álex. Questi, più navigato sulla città, l’aiuta a orientarsi, indicandole posti vicini in cui mangiare, o luoghi da visitare. La sera prima della partenza di lei, lui la invita a una festa di compleanno di un amico. Il serpente tentatore ha preso improvvisamente corpo e fascino flessuoso. La botta è bella forte. Eva cosà fa: cede come all’origine, o questa volta resiste? La commedia ha comunque a inizio, tra più bassi che alti. Ma poi, una volta tornata eventualmente all’origine d’amore, non sarebbe a questa destinata a consumarsi come nel precedente stato? O l’età, il tempo che rimane ci mette al riparo da quel pericolo? Garbato e ben recitato soprattutto dalla protagonista Nora Navas, ma sostenuta da un buon cast affiatato, per chi apprezza il genere il film si lascia vedere. Distribuzione: Teodora Film. Durata: 99 minuti.
La tomba delle lucciole. Capolavoro assoluto del cinema d’animazione giapponese, ossia del genere detto anime, del regista Isao Takahata, uno dei fondatori del fondatori del mitico studio cinematografico Ghibli, insieme ad Hyao Myazaki. Per non confondere, in Giappone film e video di animazione sono detti anime, i fumetti cartacei manga. Spesso gli uni sono reciproche versione degli altri. Il racconto di Takahata parte dal reale bombardamento della stazione ferroviaria di Kobë il 21 settembre 1945. Da quel momento inizia la drammatica odissea del giovane Seita e della sorella piccola Setsuko, costantemente sotto i bombardamenti, alla ricerca di cibo, acqua e salvezza. La loro madre è morta in ospedale a seguito di quell’evento iniziale, e il padre, imbarcato nella Marina Militare, è forse anche lui deceduto, perché non torna mai e non se ne hanno più notizie. È la sorte che tocca a decine di migliaia di bambini, adolescenti, giovani che si aggirano sperduti per il Paese in quel preciso momento bellico. Ma – soprattutto – è quello che tocca loro oggi, non in Giappone, ma in motlti fronti di guerra contemporanei in tutto il mondo. L’infanzia è diventata la vittima designata, l’obiettivo primario di eserciti sempre più micidialmente e tecnologicamente armati. Niente come il tratto grafico, la composizione di scene e sequenze, il loro montaggio dinamico riesce a far trapelare il nostro presente dentro un’opera del 1988. Da vedere assolutamente. Distribuzione: Luky Red. Durata: 90 minuti.
Testa o Croce? Torna l’agro romano e maremmano di butteri, contadini e popolani, ma in una versione western inedita, strana e anche straniante. I due autori registi Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis riprendono e radicalizzano molti temi del loro precedente film del 2021 Re Granchio. Simili le ambientazione e i personaggi popolari semplici alle prese con amori proibiti e con il potere signorile locale. Lo spunto narrativo è l’arrivo in Italia di Buffalo Bill, al secolo William Cody. Arrivo realmente avvenuto e in ben due diverse tournée – nel 1890 e nel 1906 – del suo spettacolo itinerante Wild West Show. Santino, il miglior buttero cavallerizzo del posto, batte in un rodeo i cow boy di Buffalo Bill. Ma il suo padrone, che aveva voluto la sfida e fatto una scommessa truccata, gli aveva imposto di perdere. Ad aumentare l’ira del prepotente possidente contro il ruvido e non ubbidiente buttero Santino la constatazione che sua moglie, l’affascinante francesina Rosa, si è innamorata di lui. Il film è la narrazione della fuga dei due e della caccia data loro da Buffalo Bill, che riceve l’incarico di catturarli e intascare la taglia messa sulla testa di Santino. Narrazione in senso vero e proprio, perché Bill Cody si porta dietro uno scrivano con il compito di redigere su un quaderno tutto quello che accade, allo scopo di ricavarne magari un romanzo. Un romanzo che è il film stesso, nel quale i due autori riprendono sì topos, situazioni, stilemi, citazioni della lezione western di Sergio Leone, ma con la differenza che il loro baricentro di senso resta la radice, la radicalità naïve, l’ingenuità pura popolana agreste. Questa non si lascia imbrigliare dentro schemi narrativi e d’immagine normali, ma devia spesso e volentieri da essi, dando luogo a spiazzamenti ed effetti stranianti. E se pecche, ingenuità il film manifesta è più sul lato narrativo normale, che su quello sviante. Da vedere. Distribuzione: 01. Durata: 116 minuti.
Giro di banda. Quando la banda passò… tra la Puglia e l’Albania. Cesare Dell’Anna è un trombettista veterano formatosi nelle bande musicali popolari. Tanto che a questa origine non solo non ha mai rinunciato, ma ha elevato la banda a strumento stilistico inedito, virtuosistico, di composizione elevata e improvvisazione, variazione, sperimentazione vertiginosa. Un mix davvero funambolico, esplosivo, di jazz, musica balcanica, eco profonde della tradizione mediterranea e meridionale italiana. Dirige lui, tirando boccate da una sigaretta dietro l’altra, e facendo uscire il fumo pure dalla campana della tromba: orrorifico per i non tabagisti. Anche Giuliano Sangiorgi dei Negramaro lo va a incontrare per rendergli omaggio in una scena del film. Il film è quasi tutto sulla tournée in Albania della numerosa, affiatatissima, anche se apparentemente sparpagliatissima banda chiamata Opa Cupa. Alla qualità della musica corrisponde quella cinematografica del regista Daniele Cini. Inquadrature e sequenze piene, avvolgenti, che non sono mai di mero accompagnamento, illustrazione della musica, ma autonomamente seguono un proprio racconto per immagini della totalità convergente dei luoghi, delle persone, dell’esperienza interiore che la musica di Dell’Anna fa deflagrare. Distribuzione Dinamo Film. Durata 88 minuti.
Riccardo Tavani

