Rome Film Fest: hanno tirato il collo a questa gallina

Con l’assegnazione dei diversi premi finali si è conclusa la 20esima edizione della Festa del Cinema di Roma, con essa anche le ottobrate romane. Tra i tanti critici cinematografici e cinephile accreditati che affollano le proiezioni della mattina presto si è diffuso lo sconforto di fronte alla sentenza di premi zero assegnati dalla giuria a Hen, Gallina, una produzione tedesco-greco-ungherese del 2025,  per la regia magiara di György Pálfi. Non un film di animazione, ma l’odissea di una vera gallina in fuga prima da un camionista che voleva farci il brodo, poi da un pollaio non solo per pennuti, ma anche per immigrati ingabbiati. La spietatezza del mondo umano, raccontato attraverso un suo cruciale e losco intrigo, ma visto dall’occhio di una gallina, in una realizzazione squisitamente e genialmente inedita. Era la vera novità – e di elavata qualità cinamatografica – della Festa di Roma. Ma la festa hanno voluto farla a questa gallina, tirandole il collo. Non avendo il film una distribuzione italiana, il mancato riconoscimento equivale a non incoraggiare eventuali distributori nazionali a prenderlo in carico. Il cieco specismo umano, che non sa andare oltre il proprio naso, nega ottusamente alla propria visione uno sguardo più ampio e autentico sulla realtà nella sua interezza. Negandolo a sé, lo nega agli spettatori, a quelli futuri, che hanno il diritto di conoscere quest’opera nella sua mirabile singolarità. Diritto invece oscurato attraverso un’indiretta ma altrettanto letale forma di censura.

Quanto detto non vuole mettere in discussione la qualità delle opere premiate, ma soltanto non passare sotto silenzio una discriminazione di tipo ideologico – puranche inconscio – contro un’apertura,  un’attenzione e una comprensione verso le altre specie viventi. Ecco, dunque, i premi assegnati dalla giuria presieduta da Paola Cortellesi.

  • Premio “Monica Vitti” come Migliore Attrice a Jasmine Trinca per Gli occhi degli altri, film di Andrea De Sica.
  • Premio Migliore Opera Prima ad Alberto Palmiero per Tienimi presente.
  • Gran Premio della Giuria: Nino, film di Pauline Loquès.
  • Migliore Regia: Wang Tong per il film Wild Nigths, Tamed Beastes.
  • Migliore Sceneggiatura: Alireza Khatami per The Tings You Kill.
  • Menzione Speciale: Samuel Bottomley e Seamus McLean Ross per California Schemin’, di James McAvoy.
  • Premio Speciale della Giuria a tutto il cast di 40 secondi, film di Vincenzo Alfieri.
  • Premio Miglior Film: Left handed-girl, di Shih-Ching Tsou.
  • Premio “Vittorio Gassman” Migliore Attore ad Anson Boon per Good Boy, film di Jan Komasa.
  • Premio Miglior Documentario Cuba & Alaska, film di Yegor Troyanowski.
  • Menzione Speciale a Le Chant des Foréts, film documentario di Vincent Munier.
  • Premio del Pubblico: Roberto Rossellini – Più di una vita, film documentario di Ilaria de Laurentiis, Andrea Paolo Massara, Raffaele Brunetti.

Strameritato il riconoscimento a Jasmine Trinca in Gli occhi degli altri. Si percepiva già dalle prime inquadrature del film il segno di una sua interpretazione alta. Il pubblico si è come trovato di fronte a un’improvvisa evoluzione, a una sorprendente elevazione ulteriore, piena maturazione e dominio dell’arte recitativa dell’attrice. Il connubio con Filippo Timi ha davvero esaltato la presa dell’immagine sullo schermo. Questo vale anche l’altro film da lei interpretato presente alla Festa, Illusione, di Francesca Archibugi. Quella di un giudice donna non è certo una novità. Specialmente in televisione, ma qui c’è davvero uno scatto in avanti nella determinazione così totale e puntuale del personaggio. A proposito: quel trio composto da procuratrice, psicologo, poliziotto (anche qui Timi) è in sé da travolgente serie Tv.

Tienimi presente. Quando tre produttori cinematografici, invece di mettersi di traverso, si pongono a favore della fiducia nei confronti di uno sfiduciato aspirante regista. I tre sono Gianluca Arcopinto, Marco Bellocchio e Simone Gattoni.  Lo sfiduciato, invece, è Alberto Palmiero. Stava tentando di imbastire un documentario e questi gli dicono: “Macchéèèèè, ti facciamo fare un vero film di finzione!”. E così ne esce fuori un’opera convincente nella sua delicatezza, ironia, drammaticità controllata tra due opposte impossibilità:  quella di andarsene in città e quella di tornare in provincia.

Nino. In ospedale per quello che sembra un banale mal di gola, scopre di essere aggredito da una particolare forma tumorale. Deve iniziare subito la chemioterapia. Qualcuno deve accompagnarlo. Il film è la ricerca dell’amicizia autentica e dei veri sentimenti. Proprio nella scabrezza degli incontri e dei luoghi, delle situazioni e dei dialoghi, il fascino spoglio, ma avvincente di questo racconto.

Wild Nigths, Tamed Beastes. Il custode di un vecchio leone malandato, chiuso in piccolo recinto cittadino, deve accudire l’anziano padre molto malato con cui ha avuto più che pessimi rapporti per tutta la vita. Lui è un bevitore e girovago nottambulo. Affida il padre alle cure di un’infermiera badante. Il leone è il simbolo stesso della nostra vecchiaia sempre più vanamente medicalizzata. La gabbia è la città stessa che ci chiude nella verticalità fitta dei suoi grattaceli. Il custode sa che dovrebbe uccidere la povera bestia ormai esausta, per non farla più soffrire. Ci vorrebbe qualcuno che ne avesse il coraggio…

The Tings You Kill. Quasi un Dottor Jekyll e Mister Hyde dentro un professore universitario che torna in Turchia dagli Stati Uniti con una specializzazione in letteratura anglo-americana. In un arido appezzamento che possiede fuori città s’imbatte in un uomo più o meno della stessa età e corporatura, al quale propone curare quel pezzo di polvere più che di terra e del sua cane da guardia. Comincia un intreccio a specchio tra immaginazione, sogno, realtà e traduzione, vocabolo e significato che risiedono anche in un radice linguistica di uccisione. Film candidato all’Oscar per il Canada, suo principale produttore, insieme a Francia, Polonia, Turchia.

California Schemin’. Un duo rap scozzese per rendersi credibili a patron e selezionatori delle etichette musicali si spacciano per californiani. Il loro intento è sfondare, ottenere il successo e il grande riconoscimento internazionale, per poi denunciare il razzismo anti-scozzese e i biechi interessi economici dei discografici. Ma proprio nel concerto in cui tutto questo è ormai raggiunto, qualcosa s’insinua tra i due… Montaggio musicale e cinematografico in sintonia con l’atmosfera e gli ambienti del racconto, tratto da una vicenda vera.  

40 secondi. È il micidiale tempuscolo che ha portato all’uccisione a suon di botte di Willy Monteiro da parte soprattutto dei fratelli Gabriele e Marco Bianchi, con la partecipazione di altri, a Colleferro il 6 settembre 2020. In due ore di film il regista ricostruisce tutto il quadro di relazioni e dinamiche giovanili non solo di quella zona, ma di molta provincia italiana.

Left handed-girl. Ossia La ragazza mancina, che poi in realtà è una bambina. Il titolo italiano è La mia famiglia a Taipei. Ambientato nella capitale di Taiwan, racconta la vicenda di una donna sola con due figlie: una ventenne e l’altra di cinque anni. Il contrasto tra il glamour della metropoli orientale, la voglia di affermazione e libertà della ragazza, e le difficoltà economiche di questa famiglia, illuminata però proprio dal candore della piccola mancina. Vincitore del Premio Miglior Film, è anche candidato agli Oscar per Taiwan.

Good Boy. Famiglia benestante, benpensante incatena nello scantinato della villa il figlio deragliato per ricondurlo sui binari del bravo ragazzo. Carnefici rieducativi, o vittime bullizzate, mentalmente brutalizzate? Intrigo di fobia, psicologia e favola buia cui dà dimensione corporea, mentale e spaziale l’interpretazione del giovane Anson Boom, premiata quale Miglior Attore.

Cuba & Alaska. Il titolo si riferisce ai soprannomi di due dottoresse impegnate in prima fila sul fronte bellico in Ucraina. Nonostante gli orrori, lo strazio, il sangue e i cadaveri di ogni santo maledetto giorno mandato su quella terra squarciata, non rinunciano al racconto dei propri progetti, determinazioni, anche, o forse proprio perché al momento appaiono sogni lontani. Le immagini sempre in movimento, mosse, realizzate con smartphone e bodycam, danno il senso delle pulsazioni dell’immane dramma, ma anche dello slancio vitale che a esso non vuole soccombere. Il documentario nasce dall’incontro reale sul campo di battaglia delle due dottoresse con il regista quando era militare.

Le Chant des Foréts. Nonno, padre, figlio nelle brume notturne e aurorali dentro le foreste del nord della Francia alla ricerca di animali scomparsi dalla vista umana. Documentario raffinatissimo, in sospensione continua tra lunghe attese e apparizioni improvvise, scatti fotografici e riprese da paradiso perduto. Nella mimetizzazione tra rami e fogliami silenti animali e uomini si riconoscono.

Roberto Rossellini – Più di una vita. È il documentario vincitore del Premio del Pubblico. Al di là dell’indubbio valore cinematografico e di storia del cinema del film, il voto popolare ci dice quanto sia ancora profondo il legame di Rossellini con la sua città. Transgenerazionale, potremmo dire. Per questo il sottotitolo Più di una vita, potrebbe avere un valore polisemantico, con molteplici significati. Ossia che è molto più, ovviamente, di un racconto biografico, dei suoi grandi amori, altrettanto grandi tradimenti, rifatti vivere, però, con materiali, filmati rari, inediti. Oppure che è relativo almeno alle due vite, visioni, strade percorse da Roberto Rossellini. La prima con il cinema, di cui fu esponente artistico mondiale. La seconda – in aperta rottura con la prima – attraverso il passaggio al medium televisivo. Con esso si dedica a un vasto progetto pedagogico, enciclopedico, umanistico internazionale, portando la storia, la filosofia, la scienza nelle case di tutti, senza mai rinunciare all’alta qualità delle immagini e del racconto. Ed è proprio tale svolta radicale, drammatica, polemica, che il documentario soprattutto vuole portare alla coscienza e alla conoscenza. Quel sottotitolo, però, potrebbe stare a significare che a lui sarebbe occorsa più di una vita. Se n’è andato, infatti, improvvisamente, inaspettatamente, di colpo il 3 giugno del 1977. Era tornato da una settima appena dal Festival di Cannes, dove aveva presieduto la giuria e assegnato la vittoria a Paolo e Vittorio Taviani per il loro Padre padrone. A settantuno anni aveva ancora tante svolte, rotture da darci, e dunque ancora molto più di una vita

 di Riccardo Tavani

 

 

 

 

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