Oscar 2016. A “Il caso Spotlight” va il premio come Miglior Film

Sotto i riflettori la vera inchiesta sulla pedofilia nella chiesa di Boston, e non solo.

Realtà, finzione, adattamento cinematografico o vicende romanzate: la sorte dell’informazione passa per scelte obbligate nel mondo del cinema. Quando si racconta una storia basata su fatti realmente accaduti, ai registi è affidata una grande responsabilità: scegliere se informare gli spettatori in toto, con il rischio di alzare un polverone mediatico, oppure sottoporli ad una verità con taglio pellicola, affrontando in modo superficiale determinate tematiche. Ne “Il caso Spotlight”, finalmente, si può parlare di un film “senza censura”, un’inchiesta che arriva in sala come un pugno nello stomaco e, dopo averne scosso potentemente le coscienze, lascia il pubblico incollato alla poltrona per tutta la durata del film. Perché l’indagine del team Spotlight, avvenuta nel 2002 all’interno della redazione del Boston Globe, non solo esiste e prosegue negli anni (basti pensare che sul loro sito esiste un’apposita timeline per ripercorrere tutti gli articoli publicati), ma Tom McCarthy la racconta con una regia lucida, strutturata e, soprattutto, concreta. Sono reali le vicende che racconta ne “Il caso Spotlight”, che quest’anno gli è valso un Oscar nella categoria Miglior Film. Erano anni che non si vedeva un film con un potere informativo soverchiante, a memoria di Erin Brockovich, storie che lasciano dietro di sé una scia di dibattiti incessante e spunti per una riflessione più ampia. Se fino ad ora si è cercato d’insabbiare lo scandalo all’interno della chiesa di Boston, il caso Spotlight assolve perfettamente ad un tentativo di cover-up non ristretto alla singola cittadina del Massachusetts, ma rivolto ad uno dei poteri secolari più granitici della storia: la Chiesa cattolica. Lo fa con intelligenza, usando un mezzo divulgativo con potere altrettanto forte quanto i giornali, il cinema, servendosi di un film che scappa dal ritmo “polpettone” tipico dei plot inchiesta ma che incalza invece sugli eventi in una corsa contro il tempo, quella della stampa di chi vuole mettere a tacere la verità. Il risultato è una pellicola travolgente, piena di colpi di scena, appassionante e coraggiosa che prosegue il suo scopo usciti dalla sala: esigere che se ne parli.

Antefatto: nel 2002 il Boston Globe è un giornale con uno zocolo duro di lettori, circa il 55%, fatto di credenti cattolici, affezionati alla linea editoriale. Arrivato da poco alla sua direzione, Marty Baron (Liev Schreiber) coglie le criticità del quotidiano locale, il cui nome è molto forte grazie anche alla presenza di un gruppo di giornalisti investigativi che opera su inchieste di taglio basso: Spotlight. Il team affonda le sue radici nel giornale fin dagli anni 70′ ma ha perso smalto, sommerso dalla caducità delle notizie e dal ritmo frenetico dell’online. C’è bisogno di una storia che ridia vigore al quotidiano e che lo esoneri dai rigidi tagli al personale, nonché dalla crisi economica che in questi anni coinvolge drasticamente l’informazione. Da astuto direttore, Baron sa che quando cala l’interesse verso i giornali, c’è un solo modo per riportarlo in auge: l’approfondimento. Il direttore rimane infatti incuriosito da un articolo di una loro cronista, giunto ad un punto morto per dei documenti secretati che impediscono di proseguirne la storia. L’articolo parla di “Father John Geoghan”, prete di Boston, e di 84 bambini vittime di abuso da parte sua. Per quale motivo l’indagine non è stata proseguita? A prendere il testimone è qui il team di Spotlight, rispettivamente Michael Rezendes (Mark Ruffalo), Walter V. Robinson (Michael Keaton), Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams), John Slattery (Ben Bradlee), Matt Carroll (Brian d’Arcy James). La particolarità straordinaria di questo film, aldilà della fedeltà all’inchiesta, è la collaborazione fin dal set dei giornalisti con il cast, la loro presenza alle riprese e la coordinazione ha reso verosimile l’interpretazione e ha, come difficilmente si vede nel cinema, risposto ad un’esigenza non solo d’intrattenimento, ma di raccontare agli spettatori una storia su cui non si può tacere, quella della pedofilia nella Chiesa. Così come raccontato nel film, le indagini porteranno infatti alla luce ben 390 casi di abusi in tutta Boston, con l’accusa di circa 159 preti, i cui nomi sono presenti oggi all’interno della “Massachusetts Catholic sex abuse scandal”, l’inchiesta da cui è tratto il film e per cui i giornalisti di Spotlight vinsero nel 2003 il premio Pulitzer per il servizio pubblico. L’onda d’urto emersa dello scandalo ha portato inoltre alle dimissioni di Bernard Francis Law, arcivescovo di Boston dal 1984, oggi prete alla Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma. “Una lotta contro un sistema”, così viene definita la battaglia di Spotlight in una scena del film, verso un apparato ecclesiastico le cui fondamenta, forse, hanno ricevuto una potente scossa con questo film. Un potere che però, qualsiasi sia la portata dello scandalo, saprà ritrovare la “retta via”, anche a costo di tradire i suoi fedeli.

di Barbara Polidori

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