Il letargo dell’Europa

Dopo l’esito del referendum sulla Brexit, in un’Europa ancora sotto shock, i vertici europei indicarono il summit di Bratislava, svoltosi lo scorso 16 settembre, come la data decisiva per un rilancio del progetto comunitario. Invece, come ormai regolarmente, l’incontro è stato poco più che una vetrina. Le questioni davvero urgenti e divisive vengono costantemente rimandate.

L’ Europa è assediata su più fronti: la questione dell’accoglienza dei migranti; il terrorismo fuori e dentro le porte; una crisi economica ed occupazionale che dura ormai da otto anni. Una miscela che diffonde malumore nei cittadini europei, tanto da portare la maggioranza degli elettori britannici a voltare le spalle all’Unione e ad invertire, per la prima volta, il processo di integrazione. È un Europa senza ruolo, che negli ultimi anni ha svolto la parte da comprimaria rispetto agli anglo-americani nelle questioni geopolitiche. Esiste una sua posizione univoca e chiara nelle crisi in Libia, Siria, Ucraina? E che peso ha l’UE sulle politiche ambientali?

Non potrebbe essere altrimenti con 27 leader che vanno ognuno per la propria direzione. La soluzione sarebbe ignorare le spinte e le sollecitazioni di breve periodo, ma questo non è concretizzabile se ogni capo di governo risponde delle sue scelte solo ai propri elettori nazionali.

C’è da chiedersi, però, se davvero possa essere sufficiente continuare a vivacchiare.  Per il sociologo Zygmunt Bauman, citando Gramsci, viviamo un epoca di interregno, dove i vecchi meccanismi non valgono più e non sono ancora apparse nuove strutture di potere.

In questo caos, avanzano le forze definite “populiste”, sia di destra sia di sinistra. Alcune di queste forze sono pericolose. Spesso non hanno una vera visione politica, ma dicono solo ciò che le masse vogliono sentire. A questo proposito  semplificano la realtà, basta considerare il lessico utilizzato da alcuni leader anti-sistema. Eppure nascono tutte da un sentimento di disorientamento e di abbandono, che è forte soprattutto nei ceti più bassi della società.

I capi di governo –come l’esempio di Tsipras ha dimostrato– sono impotenti di fronte a questioni che vanno ben oltre i confini nazionali. A muovere i fili, spesso, sono la finanza e i mercati internazionali, svincolati dal controllo politico. È questo, quindi, il momento di fare una scelta. O l’Europa prenderà la strada di una vera unione politica, in cui sia chiaro chi ha il potere di decidere, e di conseguenza  su chi ricadono le responsabilità, oppure continuerà ad arrancare pericolosamente, restando un progetto incompiuto.

di Pierfrancesco Zinilli

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