Parla il Senatore Giarrusso, minacciato di morte dalla mafia catanese
Giovedì 3 Novembre, tra musica e fuochi d’artificio, si sarebbero dovuti tenere i funerali del sedicenne Eugenio Ruscica ( nipote di Giuseppe Ruscica, esponente di spicco del clan dei Cursoti Milanesi) deceduto in un incidente in scooter il 28 Ottobre. Slittati poi alla mattina di venerdì, in forma privata, per ordine del Questore Marcello Cardona. Sulla vicenda è intervenuto anche il Senatore Mario Giarrusso, che in Aula ha chiesto l’intervento del Ministero dell’interno per bloccare quello che stava per accadere. Per questo è stato minacciato di morte, e non solo, da alcuni esponenti del clan. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare cosa è successo.
Senatore Giarrusso, sappiamo che ha ricevuto delle minacce a seguito del suo intervento in Aula riguardo quello che si stava organizzando per i funerali di Eugenio Ruscica. Se non fosse stato impedito, avremmo assistito all’ennesimo funerale-show?
Io sono venuto a conoscenza di questa situazione da un articolo di un giornale online, nel quale si raccontava che per il giorno del funerale i negozianti sarebbero stati costretti a chiudere le attività commerciali per tutta la giornata e che si stavano organizzando un carosello in moto, fuochi d’artificio, una banda musicale. Addirittura ho appreso informalmente che all’aeroporto di Catania avevano controllato se ci fosse qualche volo pronto. Ci si aspettava qualcosa del genere per il peso del personaggio coinvolto, lo zio del ragazzo soprattutto, che in quel quartiere controllerebbe tre piazze dello spaccio per conto di una cosca molto importante, che è quella tradizionalmente chiamata dei Cursoti. A quel punto ho telefonato prima al Questore, il quale mi ha confermato che avevano predisposto un dispositivo per controllare cosa stava per succedere nel quartiere ma che, allo stato delle cose, non avevano ancora deciso se impedire lo svolgimento di questi funerali pubblici, poi al Prefetto che mi ha ribadito che stavano valutando la situazione.
Trattandosi qui di quartieri poveri, dove la chiusura forzata per un giorno pesa sul bilancio di queste persone, ho ritenuto opportuno prendere la parola in Aula e chiedere ufficialmente che il Ministero degli Interni intervenisse. Questo atto di sottomissione la questura ha fatto bene ad impedirlo, imponendo che i funerali si svolgessero alle 6 di mattina in forma privata. Il giorno dopo ho fatto i complimenti alle Forze dell’ordine attraverso un semplice commento sulla mia pagina Facebook postando un articolo di Live Sicilia. Su questi due pezzi si è scatenata una corrida di insulti. Il problema è stato quando, alle 5 di mattina, è intervenuto lo zio del ragazzo, Giuseppe Ruscica, quello che è considerato il capo del clan, il quale ha fatto delle minacce a me, alla mia famiglia e ai giornalisti che hanno scritto il pezzo. Sabato ho sporto subito formale denuncia e la cosa sembrava finita lì. Ma nella notte tra sabato e domenica mi arriva un messaggio privato su Messenger da una persona che si firmava Mario Pardo. E stavolta le minacce erano precise: “ Scopriremo dove abiti, ti veniamo a sparare in testa”. Allora sono andato di nuovo a denunciare. In tutto questo siamo preoccupati non per le minacce in sé ma per il fatto che un pregiudicato come Ruscica o un giovane di questi quartieri possano tranquillamente pensare di minacciare pubblicamente chiunque senza pensare alle conseguenze, con un senso di onnipotenza e di impunità che è al massimo livello.
Lei non crede che ci sia anche la convinzione che le minacce recapitate via social siano meno gravi o che non ci siano ancora provvedimenti adeguati a combatterle?
Questo è un aspetto che stiamo analizzando. Le mafie si evolvono, noi questa la chiamiamo mafia 2.0. Che ci sia la concezione di non rispondere di queste cose deriva da un concetto di impunità che prescinde dal mezzo. Si sentono forti e invincibili. A Catania mi riferiscono cose gravissime. Nel quartiere Picanello, una pattuglia dei Carabinieri che incontra delle sentinelle del traffico di droga e uno di questi guardiazona che inveisce pesantemente contro la pattuglia a tal punto da spingere i Carabinieri ad andarsene. Questo riferito dagli automobilisti in fila in pieno giorno. Questa è la situazione dell’ordine pubblico a Catania. Basta farsi un semplice giro al Tondicello della Playa, Via del Plebiscito, Viale Mario Rapisardi, più si sale e più comincia ad essere terra di nessuno.
È evidente che il controllo del territorio non esiste. Ma attenzione, io non sto dicendo che le Forze dell’ordine non fanno il proprio lavoro. Io sto dicendo che non sono messe in condizioni di fare il proprio lavoro. Perché sono pochi e riescono a concentrarsi solo sui reati più gravi, dopodiché ci si arresta sul resto, lasciando la città in balìa di queste cosche.
Lei crede che le reazioni della gente del quartiere siano dettate esclusivamente dalla paura o c’è del consenso effettivo?
Io conosco questi quartieri e capisco bene che se ho una piccola bottega e faccio fatica ad arrivare a fine mese, come faccio a mettermi contro queste persone alle quali, probabilmente, pago anche il pizzo? Noi non possiamo pretendere l’eroismo dai cittadini che sono già in difficoltà quando non è lo Stato a fare per primo il proprio dovere. E non possiamo condannare le persone che hanno paura e abbassano la testa. Possiamo pretendere che le persone si schierino con lo Stato quando lo Stato si presenta ed è credibile. Evidentemente le persone di questo quartiere non riconoscono la presenza dello Stato, né riconosco credibile l’amministrazione.
La politica in generale ed il Sindaco di Catania nello specifico che posizioni hanno assunto rispetto alla vicenda?
Il silenzio della politica e del Sindaco è evidente e significativo. La cosa che mi ha colpito di più di questi messaggi pubblici su Facebook è stata, da parte di alcune donne di questo clan, la minaccia “Noi sappiamo come regolarci al momento del voto”. In pratica questi dicono alla classe politica “se tu ci dai fastidio sul nostro territorio noi ti puniamo al voto”, stanno indicando qual è la loro strategia che è poi ovviamente quella di favorire i politici che li lasciano in pace. Abbiamo chiesto al Prefetto di mandare una commissione di accesso al Comune di Catania per capire se questi riferimenti, questa capacità di azione politica non si sia trasformata in un’infiltrazione nel Consiglio comunale. Noi abbiamo un Presidente di consiglio del quartiere che è fratello del capo mafia, un Presidente del consiglio comunale che è sospettata di essere imparentata con soggetti coinvolti in inchieste. Ripeto, abbiamo sollevato la questione in Commissione antimafia ma abbiamo un Prefetto che non interviene per verificare. Sa cosa ha fatto il Prefetto? Ha verificato se gli eletti in Consiglio comunale collegati alla mafia fossero maggioranza. La posizione del Sindaco, poi, è ambigua. Quando ha subito un’aggressione io l’ho subito chiamato, per quanto io non condivida nulla della sua posizione politica, ma la solidarietà gli è stata manifestata. Qua invece c’è il deserto perché sono tutti atterriti, capiscono il controllo che le cosche hanno sul voto. Allora questa è la questione che va posta. Chi comanda a Catania, i Ruscica, i mafiosi o lo Stato?
Di Martina Annibaldi