Ciaccio Montalto

Fu cosa di mafia quel delitto. Ma allora in Sicilia la mafia non esisteva

Una data, il 25 gennaio del 1983, ci riporta in Sicilia, a Valderice, provincia di Trapani.

E’ un pezzo di storia. E allora lo riguardiamo con altri occhi.

Una storia che il tempo non ha toccato.

A 34 anni dalla sua scomparsa, ripercorriamo la vicenda di Giangiacomo Ciaccio Montalto.

Valderice, la notte del 25 gennaio 1983. Via Carollo. L’auto, una Volkswagen Golf bianca, viene trovata dai carabinieri ferma davanti all’ingresso dell’abitazione del magistrato, all’altezza del civico 2.

Quella sera era stato a cena con degli amici, a Buseto Palizzolo, paese poco distante da Valderice. Aveva con sé la borsa da lavoro e alcuni fascicoli.

L’auto di Montalto risaliva lentamente per i tornanti ripidi che conducono a Valderice.

Un breve tragitto si compie in via Antonio Carollo, una stradina che taglia la statale che conduce a Palermo.

I killer sapevano che il giudice doveva fermarsi.

Qualche metro ancora e avrebbe raggiunto l’uscio di casa.

Non fece in tempo a scendere dalla vettura. Non lo fecero scendere e nemmeno riuscì a provare ad aprire lo sportello.

I killer lo fulminarono.

Il fuoco incrociato di tre assassini che spararono con due revolver e una mitraglietta, crivellandolo di colpi.

Una pistola che sparò risultò provenire dalla mafia catanese, a conferma dell’alleanza tra le cosche trapanesi e quelle di Catania.

I proiettili che infrangono il lunotto posteriore e il parabrezza anteriore, tutti a segno, tranne due conficcati nel portone.

Fu barbaramente e vigliaccamente assassinato di fronte casa sua, dopo una serata passata con gli amici.

Non immaginava sarebbe stata l’ultima e che appena poche ore dopo sarebbe stato ucciso.

I colpi mortali lo raggiunsero al torace e alla testa.

Lo trovarono, zuppo di sangue, riverso sui sedili anteriori della sua automobile, steso in quella Golf bianca, con la testa reclinata sul bracciolo del lato passeggero, un braccio disteso, a penzoloni, l’altro piegato sul torace.

Era un corpo senza vita, un morto ammazzato. Era un uomo. Ucciso senza lo straccio di una scorta e a bordo della sua auto non blindata, nonostante le minacce ricevute.

Lasciò la moglie e tre figlie di dodici, nove e quattro anni.

L’orologio della plancia dell’auto era fermo all’1.12. L’ora in cui i killer lo hanno freddato.

La risposta dell’ora della sua morte è stata fornita, quindi, dalle lancette della Golf bloccate, una risposta terribilmente meccanica, non dalle decine di famiglie che vivevano a pochi metri dal luogo dell’imboscata.

Si erano barricati tutti in casa, quando i mitra avevano cominciato a crepitare, terrorizzati tanto da non riuscire a dare l’allarme.

Quella notte dovette esserci un’incredibile tempesta di fuoco, quelle da far tremare le mura e le finestre, ma nessuno sentì nulla nonostante via Carollo sia una strada stretta.

Niente è cambiato, come nel resto del territorio, dove la mafia fa chiasso, ma nessuno la denuncia.

Deve esserci stato parecchio chiasso quella notte in via Antonio Carollo, ma nessuno se ne accorse.

Il suo corpo dilaniato è rimasto lì per sei ore nel silenzio dei vicini e degli eventuali passanti. I vicini non avvertirono le autorità perché sospettavano fossero spari legati ai cacciatori di frodo.

Il cadavere fu scoperto sei ore dopo, quando qualcuno si decise di avvertire i carabinieri.

Il corpo esanime del magistrato venne trovato alle 6.30 ca. da un contadino che attraversava via Carollo per raggiungere la campagna.

Mezz’ora dopo, schieramento di polizia, carabinieri, magistrati.

La mafia fece il suo sporco lavoro.

Valderice, provincia di Trapani, via Antonio Carollo, ore 7.15 del 25 gennaio 1983.

La storia comincia da quel luogo e da quell’ora.

Una storia criminale della provincia di Trapani.

Aveva quarantadue anni l’ucciso, una moglie e tre figlie di quattro, nove e dodici anni ed era un magistrato, sostituto procuratore della Repubblica di Trapani, il suo nome Giangiacomo Ciaccio Montalto.

Ecco la storia è questa.

Una storia che per tantissimi anni è rimasta nascosta, come spesso è accaduto, e accade, per altre analoghe tristi vicende.

Il nome di Ciaccio Montalto è rimasto non pronunciato, tranne in quelle rare occasioni in cui, per iniziativa di pochi amici, colleghi e attivisti e volontari delle associazioni antimafia, il suo nome è stato adeguatamente ricordato, per poi sparire di nuovo.

La storia di Giangiacomo Ciaccio Montalto, sostituto procuratore di Trapani, ucciso dalla mafia, oggi finalmente si può raccontare.

Quel delitto fu cosa di mafia. Sì, fu roba di mafia quel delitto. E invece per anni la città di Trapani ha creduto, ha voluto credere, che Ciaccio Montalto fosse stato ucciso per altro, anche per motivazioni poco nobili, che la mafia sa sempre far circolare bene al momento giusto.

Giangiacomo Ciaccio Montalto è stato un magistrato italiano vittima di Cosa Nostra, vittima della criminalità.

Nato a Milano da famiglia trapanese. Suo padre era magistrato di Cassazione.

Entrò in magistratura nel 1970 e divenne sostituto procuratore della Repubblica di Trapani nel 1971.

Dal 1977 si trovò ad indagare sui mafiosi della provincia di Trapani e sui loro legami con il mondo imprenditoriale e bancario trapanese. Ricostruendo il percorso del denaro sporco nelle banche di Trapani.

A fine anni ’70 il suo lavoro si concentrò sul clan dei Minore e sulle attività del clan: omicidi, corruzione, spaccio di stupefacenti, traffico d’armi.

Giangiacomo è stato un precursore dell’antimafia giudiziaria. Aveva portato davanti alla Corte di Assise diversi esponenti delle varie cosche.

Si ritrovò giovane ad essere “la memoria storica” della Procura di Trapani dove lavorava. Era così che lo chiamavano: “la memoria storica” della Procura di Trapani.

Era un fenomeno della magistratura.

Fu tra i primi a finire nel mirino, perché Cosa Nostra aveva più di una ragione per aver paura di quel magistrato.

Si racconta che un giorno di fine 1982, passeggiando in carcere il capo mafia di Mazara Mariano Agate, passando davanti alle celle fece sapere a tutti che: “Ciaccinu arrivau a stazione”, “Era arrivato alla stazione, al capolinea”.

Qualche settimana ancora e Ciaccio Montalto, che non era uno qualsiasi, ma era un magistrato della Procura di Trapani, fu ucciso davanti casa sua a Valderice. Era il 25 gennaio del 1983.

Agate aveva capito che il giudice Ciaccio aveva individuato una serie di canali dove dentro scorreva denaro, per questo fu ucciso.

Aveva individuato una cosca di siciliani in Toscana, alcamesi, palermitani e massoni.

Successive indagini hanno dimostrato come in Toscana la Cupola e quella trapanese aveva già i suoi uomini, non solo “picciotti”, ma anche professionisti, uomini di banca, imprenditori.

Giangiacomo Ciaccio Montalto aveva scoperto gli interessi di mafia in terra di Toscana e da pm a Firenze era pronto a muoversi.

Quando fu ammazzato era in procinto di lasciare la Procura di Trapani. Si stava per trasferire, per sua volontà, alla Procura di Firenze per continuare la caccia ai soldi di Cosa Nostra.

All’ergastolo, perché mandanti dell’omicidio del sostituto procuratore Ciaccio Montalto, sono stati condannati gli alleati di sempre di Cosa Nostra siciliana, Totò Riina e Mariano Agate.

La mafia di quegli anni è la stessa di quella di oggi.

La mafia che uccise Ciaccio Montalto è la stessa che oggi potente pretende di restare inviolabile, come pretendeva esserlo in quegli anni ’80. Gli uomini che la comandano, che l’aiutano, restano gli stessi di allora.

La storia di Giangiacomo Ciaccio Montalto è facile da raccontare, basta sfogliare le pagine delle indagini da lui dirette: l’inquinamento del golfo di Cofano, messo a rischio dagli scarichi illegali, c’erano poi le inchieste sui soldi sporchi nelle banche, gli appalti truccati e le speculazioni edilizie, la droga e le raffinerie dell’eroina, i traffici di armi.

Tutto questo era Cosa Nostra, lo sapeva Giangiacomo Ciaccio Montalto.

La storia di Giangiacomo Ciaccio Montalto sta nelle pagine delle sue indagini, nel fatto di essersi dovuto allontanare dalla famiglia, forse per salvaguardare i suoi familiari, perché prima di essere ucciso erano arrivate a casa sua minacce di morte contro i familiari.

Era un giudice che sapeva di poter essere assassinato. Sapeva i rischi che correva.

Non nascose mai di ricevere minacce, sia con lettere anonime, sia per telefono, minacce di morte.

Si trovò perfino una croce nera fatta con una bomboletta spray sul cofano della sua Volkswagen Golf.

Chi era Giangiacomo Ciaccio Montalto nei suoi aspetti più personali?

Ovvero la famiglia, i suoi interessi, la musica, la letteratura, i viaggi, la navigazione, fu anche critico per il quotidiano di Trapani, e altro ancora.

Giangiacomo Ciaccio Montalto nato a Milano, si era laureato in Giurisprudenza a Roma.

Aveva scelto Trapani per iniziare la carriera, nel ’70, come uditore al Tribunale.

Era di quelli che non arretrano di fronte al mostruoso intreccio di mafia e potere politico.

Giangiacomo era figlio di siciliani, ma non era nato in Sicilia, era nato a Milano dove allora suo padre Enrico, pure lui magistrato, al tempo della nascita di Giacomo lavorava, ed era siciliano nell’anima e in tutto il suo essere. Amava profondamente questa terra.

Giacomo era molto stimato dai colleghi.

Non si occupò solo di mafia, ma operò a 360 gradi.

Si occupò di indagini su reati ambientali e , in particolare, operò per fermare la cementificazione dei fondali marini vicini alle nostre coste, provocata da discariche in mare dei sottoprodotti della lavorazione del marmo, le chiazze che lo scarico in mare delle polveri di marmo provocavano, per fermare gli inquinatori.

Si trattava di problemi di cui negli anni ’70 non veniva avvertita l’incidenza distruttiva sulla vita dei cittadini e delle stesse generazioni future, perché solo ora percepiamo quale devastazione del nostro patrimonio naturale abbiano apportato e quanti problemi irrisolti del vivere civile siano ancora ad essi collegati.

Operò senza timori di alcun genere contro la corruzione nell’ambito degli amministratori e funzionari pubblici, realizzando anche in questo caso indagini di rilevante impatto che gli attirarono molte inimicizie.

Esperienze di vita come quella di Giacomo sono un esempio da non dimenticare.

Non si può ricordare Giangiacomo Ciaccio Montalto senza far cenno ai molti suoi interessi culturali, che con tanta forza manifestava, avendo una speciale capacità di coinvolgimento e di trasmettere agli altri i suoi entusiasmi.

La passione per certi scrittori, da Eco, a Marquez; la sua venerazione per Beethoven, l’amore per la lirica, per Bellini, per Verdi.

La passione per le nostre tradizioni gastronomiche, il suo impegno giornaliero nell’esame acuto delle carte processuali, con l’ostinata determinazione di chi sa che la Sicilia potrà guadagnarsi una dignità solo liberandosi dall’asservimento ai poteri criminali.

Un uomo tenace e coraggioso Ciaccio Montalto. Un magistrato scomodo.

Un giudice schivo, intelligente, colto, che operò a Trapani in un contesto difficile.

Un magistrato che aveva condotto inchieste clamorose, indagini con tecniche innovative, sulla scorta dell’intuizione e che da anni era in prima linea nella zona di fuoco di Trapani, per la quale passa buona parte del contrabbando di droga.

Era conosciuto per il suo coraggio e per l’impegno che metteva contro la criminalità politica.

Un giudice, Ciaccio Montalto, che voleva anticipare i tempi, altri magistrati dopo di lui hanno continuato.

Aveva capito che bisognava arrestare i boss, ma anche aggredire i patrimoni e incrinare il muro dell’omertà.

Fu tra i primi magistrati a cadere sotto i colpi della feroce mafia dei “Corleonesi”.

La mafia ha colpito ancora una volta e sempre con la stessa ferocia, un altro magistrato, Ciaccio Montalto.

Anche lui assassinato, come molti altri in Sicilia, per aver fatto semplicemente il suo dovere, morto per aver servito la giustizia.

Apparteneva a quella schiera di magistrati italiani onesti. A Trapani il suo scrupolo e la sua tenacia erano diventati scomodi.

La sua fedeltà ha potuto dimostrarla solo pagando il prezzo della vita.

Non ha potuto concludere il suo lavoro con quel perfezionismo che lo distingueva. Non è riuscito a sconfiggere la mafia, perché la mafia glielo ha impedito.

Ucciso in un agguato mafioso il 25 gennaio del 1983 davanti alla sua casa di Valderice, a tarda notte, nell’indifferenza e nel silenzio del vicinato.

La mafia a Trapani non c’è, non può esserci.

Questa era Trapani, questa era la Sicilia in cui ha vissuto Ciaccio Montalto.

di Maria De Laurentiis