Accursio Miraglia: un sindacalista vero e coraggioso

Negli anni 40 sul muro della Camera del Lavoro di Sciacca, in provincia di Agrigento, c’era scritto “Meglio morire in piedi, che vivere in ginocchio”. È una frase che Hemingway fa dire alla sua Pilar in Per chi suona la campana. Su quel muro l’ha fatta scrivere Accursio Miraglia, che della Camera è il Segretario. Era la risposta che dava a tutti coloro che erano preoccupati per la sua vita, per il lavoro che faceva, per le idee che aveva in testa, e l’aveva sentita dire da Dolores Ibarruri, attivista spagnola sotto la dittatura di Franco.
Accursio era partito appena ventenne alla volta di Milano, con un diploma da ragioniere in tasca. Al Nord viene presto licenziato per contrasti di natura politica. Torna al paese natale, dove fonda un’azienda per la conservazione del pesce ed entra nel commercio di ferro e metalli. Fa parte del Comitato di Liberazione Nazionale, partecipa e diventa dirigente del circolo del Partito Comunista del suo paese.
Sono gli anni della guerra, che in Sicilia finisce prima che altrove. È il 1943, gli alleati sbarcano sull’isola e cacciano nazisti e fascisti. Ci riescono anche grazie all’aiuto dei clan mafiosi. Sono loro che forniscono informazioni sul territorio, sui punti nevralgici, sui rapporti di potere. In cambio, il vuoto amministrativo lasciato dallo stato fascista, sarà occupato da loro,
Ma negli anni 40 mafia, o meglio maffia, con due effe, voleva dire soprattutto protezione. I grandi proprietari terrieri, nobili che vivevano in città, si servivano dei boss per proteggere i loro possedimenti dai banditi, dai ladri, ma anche dai contadini che volevano occupare le terre. È l’ottobre del 1944 quando il Ministro dell’Agricoltura del Secondo Governo Badoglio, Fausto Gullo, emana un decreto dal titolo “Concessioni ai contadini delle terre incolte”. Gli appezzamenti non coltivati dei grandi latifondi sarebbero stati scorporati e riassegnati ai poveri. Di questo passaggio se ne sarebbero occupate le camere del lavoro.
Accursio Miraglia inizia subito a lavorare. Conosce il suo paese come nessun altro, perché oltre all’attività politica è presidente dell’ospedale e direttore del teatro. Parla, ascolta, osserva. Insegna ai contadini analfabeti a leggere e a scrivere, e gli spiega soprattutto le leggi. “La forza dell’uomo civile è la legge, la forza del bruto e del mafioso è la violenza fisica e morale”, disse al suo ultimo comizio a Sciacca.
Nel 1946 fonda la cooperativa Madre Terra e riunisce nel paese più di 5000 persone, donne e uomini contadini pronti a ottenere un pezzo di terra. È una cavalcata epica che nei ricordi di chi allora era bambino ha ancora i contorni dell’impresa. Accursio era il primo della fila, e in sella al suo cavallo sembrava un eroe medievale.
Ma le terre a Sciacca sono soprattutto di ben altro tipo di cavalieri. Si chiamano Rossi e Pasciuta, e si sono affidati a Carmelo Di Stefano, gabellotto, per proteggere le loro terre. Le minacce però non fermano Accursio e i contadini, così si decide di passare alle vie di fatto.
È il 4 gennaio 1947 quando un commando di quattro persone aspetta Miraglia davanti la porta della sua abitazione. Sono armati di mitra e di lupare. È una pioggia di piombo che trafigge il segretario. Per l’omicidio sono arrestati Calogero Curreri, Pellegrino Marciante e Bartolo Oliva. Che prima confessano e indicano come mandante il Cavalier Rossi e Carmelo Di Stefano, poi ritrattano tutto. Del delitto non esistono colpevoli né sentenze. E la frase che sta alla base del suo monumento, a Sciacca, sembra quasi rispondere a tutto questo: “Io non impreco e non chiedo alcuna punizione. Io che ho tanto amato la vita, chiedo ad essa di vedere pentiti coloro che ci hanno fatto del male”.

di Lamberto Rinaldi