Il 25 aprile del nostro lungo addio

La celebrazione a Roma, la settimana scorsa, della Festa della Liberazione ha segnato una drammatica lacerazione tra l’Anpi, l’associazione dei partigiani italiani, e la comunità ebraica della città, attraverso due ben distinte, se non proprio contrapposte manifestazioni. Entrambe le rappresentanze si dicono pronte a ritentare la possibilità di una riconciliazione per il prossimo anno, ma inutile farsi illusioni: i motivi del dissidio sono e saranno sempre più profondi. Non è tanto in discussione l’indubitabile contributo che in tutta Europa e in Italia hanno dato i cittadini ebrei alla Resistenza e alla lotta contro il nazifascismo e il suo immane meccanismo di sterminio proprio degli ebrei. Sterminio e riduzione dell’umano al sub umano pianificato nei campi di concentramento che doveva arrivare fino alla hitleriana “soluzione finale”, ossia fino alla eliminazione totale, intesa in senso letterale, di tutti gli ebrei sul continente europeo. Un vero e proprio baratro dell’orrore in cui è precipitata la civiltà più avanzata del mondo contemporaneo, la nostra, aggredendo e cancellando dal proprio seno una delle sue componenti originarie, quella rappresentata dalla millenaria cultura ebraica.

Non è in discussione neanche il reale peso e ruolo militare rappresentato dalla Brigata Ebraica a fianco degli alleati. Ognuno – anche le formazioni partigiane – ha fatto quello che realisticamente hanno potuto fare in quei terribili anni sui vari fronti, città, territori, scacchieri in cui ha valorosamente e anche tragicamente combattuto. Il vero crinale del contrasto è la presenza delle organizzazioni e delle bandiere palestinesi alle manifestazioni del 25 aprile. Contrasto che è andato sempre più acuendosi negli ultimi anni, anche attraverso scontri, tafferugli fisici, fino allo strappo di quest’anno. La domanda è: perché proprio in questi ultimi anni si è acuito un dissidio che mai si era manifestato nel cinquantennio finale del secolo scorso e neanche nei primi anni di quello nuovo.

Qualcuno risponde che è perché c’è stato un progressivo “spostamento a destra” degli organi rappresentativi della comunità ebraica romana, con successiva “israelizzazione” della sua linea e prassi culturale-politica. Questo lo si risponde non solo fuori ma anche all’interno dello stesso mondo ebraico. Non possiamo d’altronde ora entrare troppo in profondità in un dibattito interno al presente ebraico per stabilire se quello spostamento sarebbe uno snaturamento del vero spirito comunitario, di apertura e giustizia nel mondo che è alla radice di quella cultura e religione.

Ora, però, è da chiedersi se questo spostamento – che avrebbe raggiunto proprio negli ultimi due anni il suo apice – sia dovuto solo alla volontà tenace o pervicace di una componente di tale mondo, o non sia per caso determinato da fattori ben più strutturali, geo-politici, o geo-epocali addirittura. Propendiamo per quest’ultima ipotesi, che vorremo qui meglio proporre. Pro-porre in senso letterale, ossia porre, mettere davanti allo sguardo di tutti, affinché sia adeguatamente esaminata, valutata, approvata, emendata o respinta. È d’altronde nello spirito di questa testata giornalistica di cercare di guardare criticamente a quello che accade nel sottosuolo e non solo sulla superficie degli eventi.

C’è un 25 aprile “storico reale”: quello del 1945. È inequivocabile e indiscutibile che tale data del nostro passato pertiene del tutto agli ebrei e per nulla ai palestinesi. La proclamazione a Milano, da parte del Comitato Nazionale di Liberazione Alta Italia (CNLAI), dell’insurrezione armata per liberare i territori ancora sotto l’occupazione nazifascista, avviene a pochi giorni dell’ingresso delle truppe alleate, principalmente Stati Uniti d’America e Inghilterra, in quelle zone. Già c’erano stati gli sbarchi di Salerno nel ’43 e di Anzio nel ’44 e quello poderoso di Normandia, sulle coste francesi, detto D-Day, il 6 giugno del 1944. Questo è il grande, reale quadro storico, bellico e geografico entro cui si trova ad agire la Resistenza italiana. Dall’interno del continente la morsa contro la Germania si stringe con l’offensiva delle truppe sovietiche sulla Vistola-Oder, in occasione della quale scoprono e liberano il campo di sterminio di Auschwitz, nel quale si era consumato uno dei più abissali orrori della storia umana e lo si era consumato proprio contro gli ebrei. Da queste pagine di guerra e di storia è scaturito l’intero assetto geo-politico e strategico che ha dominato per mezzo secolo il mondo: dal conflittuale duopolio Usa-Urss ai conflitti locali, di teatro, come si dice, che sempre dentro quei due poli d’influenza si svolgevano, compreso quello israelo-palestinese.

Nella manifestazione alternativa realizzata il 25 in Via Cesare Balbo a Roma, davanti quella che fu la sede della Brigata Ebraica, un esponente della comunità – citando la presenza delle ambasciate americana e inglese al loro appuntamento – ha affermato che la storia, gli alleati erano quelli e che il resto era menzogna. Non ha menzionato l’Unione Sovietica, ma d’altronde essa si eclissata da tempo dall’orizzonte. Questo è il punto. Un grandioso scenario politico planetario si è chiuso, è tramontato, e dei vincitori mondiali di quel 25 aprile “storico reale” sono rimasti solo gli alleati di Israele. Ecco il dato geo-epocale con tutto il suo inevitabile peso strutturale, ossia che travalica i singoli e i gruppi, determinandone semmai le volontà e le scelte. Per questo – si diceva – è difficile si ricomponga lo strappo consumato quest’anno.

A quel dato si possono opporre lo spirito, i valori antifascisti, umanitari, universalistici del diritto dei popoli alla resistenza, come quella palestinese all’occupazione israeliana dei suoi territori. Ossia la piena legittimità a partecipare alle manifestazioni del 25 aprile indette dall’Anpi da parte delle organizzazioni palestinesi presenti in Italia. Certo, ma allora, dal tramonto definitivo di quella scena novecentesca, altre vicende ed emergenze umanitarie, altri valori universalistici, altre sfere non solo geo-politiche ma soprattutto geo-finanziarie, geo-tecnologie, si sono andate stagliando e definendo all’orizzonte del nostro presente e futuro. Tutte sotto le bandiere dell’Anpi? Perché no? Resta però il fatto che esse travalicano completamente quel 25 aprile “storico reale”.

Allora l’Anpi dovrebbe immediatamente – ovvero finché sono ancora presenti i suoi ultimi membri combattenti nella Resistenza – indire una discussione tanto aperta e generale quanto capillare e poi un suo congresso straordinario che sappia ridefinire la reale geografia dei gravi, incombenti problemi e valori di oggi nei quali innestare proficuamente le radici di ieri. Senza di questo, del 25 aprile sono destinati a sopravvivere solo i brandelli di un lungo addio, di una lacerazione definitiva, magari completamente coperti e cancellati dal tutto blu di “Coco Chanel, patriota d’Europa”. Peccato lei fosse antisemita, antisocialista e anche – si attesta – una spia nazista.

di Riccardo Tavani

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