La Cina chiude le porte al bitcoin, moneta virtuale.

La Cina, attraverso la sua banca centrale, la People’s Bank of China, lo scorso 4 settembre ha deciso di mettere fuori legge le cosiddette Ico, (initial coins offering), ovvero le operazioni di quotazione in valuta digitale. L’autorità monetaria ha deliberato che tutte le società e gli individui che abbiano completato la raccolta di fondi Ico, devono fare in modo di restituire tali fondi.
A seguito della decisione il bitcoin, la criptomoneta più famosa, ha subito una perdita di circa il 20% sui maggiori mercati cinesi in pochi giorni. In realtà, simili fluttuazioni non sono affatto una novità per il bitcoin. Solo da gennaio ha guadagnato circa il 300%, salendo e scendendo con la stessa imprevedibilità.

Per criptomonete, o criptovalute, si intendono monete virtuali che, proprio come le altre monete, hanno valore perché, e fino a quando, le persone saranno d’accordo ad accettarli come intermediari negli scambi. I bitcoin, introdotti nel 2009 da Satoshi Nakamoto, nome fittizio dell’anonimo inventore, ne sono l’esempio più noto e più rilevante.
Questa moneta virtuale deve la sua propria esistenza ad un meccanismo ingegnoso. Essendo presenti solo digitalmente, nulla avrebbe garantito che queste monete non venissero replicate più e più volte una volta messe in circolazione. Attraverso un dispositivo, chiamato blockchain, che permette di registrare le transazioni e di resistere a qualsiasi manomissione, assicura che ogni bitcoin non possa essere rispeso senza cambiare di mano.
Non esiste nessuna banca centrale a stamparli né un governo che li controlli. A gestire i bitcoin e a vigilarli sono i network di utenti.

Lo stop che arriva da Pechino segue la decisione di segno opposta di qualche mese fa del Giappone, che ha deciso di legalizzare le monete virtuali. Entrando nel merito del provvedimento cinese, a diventare illegali, come detto, sono le Ico. Nonostante l’assonanza con l’Ipo, l’offerta pubblica d’acquisto, le differenze sono significative. Mentre in quest’ultimo caso le aziende mettono in vendita diritti di proprietà, gli investitori attraverso l’Ico acquistano criptomonete che danno accesso ai prodotti e ai servizi della particolare società.

Già in passato i bitcoin erano stati messi sotto accusa per la mancanza di trasparenza. Dato che le transazioni garantiscono l’anonimato, non sono rari i casi in cui i bitcoin sono stati usati per compravendite illecite. Sono serviti anche come mezzo per pagare riscatti durante attacchi malware, come nel recente caso di WannaCry.
Inoltre, gli ultimi andamenti hanno portato alcuni analisti a ritenere che il prezzo delle criptovalute sia in realtà basato sulla speculazione, che avrebbe creato un bolla finanziaria pronta a scoppiare. Altri esperti, invece, ritengono che l’alta flessibilità sia un fenomeno normale considerando il relativamente piccolo mercato e la mancanza di un controllo governativo sulle transazioni. In ogni caso, proprio la limitata dimensione del sistema renderebbe improbabile un effetto contagio.
di Pierfrancesco Zinilli

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