Ancora un caso di femminicidio: omicidio/suicidio a Terzigno

Ancora un caso di femminicidio, ancora un’altra famiglia distrutta da un marito incapace di accettare il fallimento del proprio matrimonio, secondo un copione che sembra essere tragicamente uguale a tanti altri. Siamo a Terzigno, comune in provincia di Napoli, già tristemente noto per l’assassinio di Vincenza Avino, avvenuto nel 2015 sempre per mano d un ex compagno. Imma (Immacolata Villani) come ogni mattina ha appena lasciato a scuola Lisa, la sua bimba di nove anni, e si è intrattenuta a parlare con un’amica, ignara del fatto che Pasquale, il marito da cui si sta separando, è già lì ad attenderla. La tragedia si è consumata in pochi istanti: Pasquale si è avvicinato con la scusa di parlare, ma le parole hanno subito lasciato spazio al rombo di uno sparo; uno solo, alla testa, e per Imma non c’è stato nulla da fare. Fuggito a bordo di uno scooter, Pasquale Vitiello ha fatto perdere le proprie tracce scatenando una caccia all’uomo durata un giorno e una notte, fino al ritrovamento, la mattina successiva, del corpo, non lontano dal luogo dell’omicidio: con la stessa arma (detenuta illegalmente e con matricola abrasa) con cui ha ucciso la moglie Pasquale si è tolto la vita.

Una tragedia forse annunciata, anche se nella sua dimensione pubblica Pasquale appariva un padre modello, sempre presente, attento, premuroso. Eppure chi conosceva bene la coppia descrive Pasquale come un marito possessivo e geloso, a volte violento, che tollerava a fatica che la moglie uscisse da casa, e la ricopriva frequentemente di calci, spintoni e insulti. Un matrimonio da tempo in crisi, in cui ogni banale pretesto diventava un motivo di tensioni e litigi, come lo scorso 4 marzo, quando un diverbio con la suocera (con cui la coppia divideva la villetta nella quale abitavano) è degenerato in una violenta lite, in cui alle botte del marito si è aggiunto un tentativo di aggressione da parte della donna, che le avrebbe “messo le mani al collo”.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso pieno di nove anni di sopportazione, umiliazioni, violenze subite in silenzio. Immacolata, esasperata, è scappata con la bimba a casa del padre, non senza prima aver trovato la forza, finalmente, di denunciare. Imma temeva l’uomo dal quale si stava separando, quello stesso uomo taciturno ed introverso che nelle due settimane successive a quel 4 marzo avrebbe continuato a vivere la propria vita con apparente normalità, maturando dentro di se il folle gesto. A casa Vitiello sono state ritrovate una ventina di lettere, alcune delle quali indirizzate alla figlia (tra cui una sigillata con scritto “da aprire quando sarai grande”) in cui Pasquale tenta di spiegare le sue ragioni; “vivo una profonda ingiustizia e questo mi fa stare male perché voglio molto bene a tua madre”, e ancora “la separazione è una cosa che mi fa soffrire, che non si può accettare.

Ho subito un torto, l’unica cosa è farsi giustizia da soli”. Parole deliranti con le quali Pasquale giustifica, con una logica folle, il suo gesto, come se Imma fosse una proprietà indebitamente sottratta di cui nessun altro debba fruire se non il legittimo proprietario, anche a costo di perderla per sempre. Il pensiero va alla bambina, ennesima vittima innocente, divenuta orfana per mano del suo stesso padre; ma questa vicenda, così come le altre, solleva nuovamente i soliti, tragici interrogativi: chi sono questi uomini, fragili e incapaci di elaborare un fallimento al punto da trasformarsi in carnefici e assassini? Quale ruolo giocano, in questo, le famiglie e la società? Quanto le leggi esistenti sono in grado di intervenire preventivamente, scongiurando altri casi come questo?  E, soprattutto, quanto anche noi donne siamo responsabili di tutto ciò?… perché Imma, come tante altre prima di lei, ha sopportato per troppi anni violenze e soprusi; la vera rivoluzione culturale avverrà quando ogni singola donna sulla faccia della terra sarà pronta a ribellarsi a ogni minimo atto di violenza.

di Leandra Gallinella