Dove finisce la ricchezza dell’Africa

Quando si parla di Africa quasi sempre lo si fa in relazione a cose negative. Alle guerre, alle carestie, alle epidemie. Tutti fatti e tutte piaghe realmente presenti. Una simile narrazione, però, comporta un rischio. Quello, cioè, di legare un continente intero esclusivamente a queste tragedie. E nel immaginario comune il destino del’Africa è inesorabilmente ad una direzione. Tanto che ci sembra impossibile pensare che in Africa ci siano più dottori di ricerca che persone che muoiano di fame. Quasi mai si parla dei successi economici e dell’abbondanza di risorse naturali dell’Africa.

Le situazioni di difficoltà più estreme non sono comuni a tutti i paesi africani, ma sono circoscritte ad alcune zone e spesso sono dovute a fattori peculiari. Il grande problema, infatti, è la distribuzione della ricchezza. I benefici che provengono dalla disponibilità di risorse non sono diffusi.

In Italia molti politici sostengono che i problemi dell’immigrazione possano risolversi in aiuti allo sviluppo. La realtà è diversa. L’Africa perde molti più soldi a causa delle operazioni offshore di quanti ne arrivano attraverso gli aiuti governativi. La corruzione riguarda soprattutto il settore estrattivo e, secondo i dati delle Nazioni Unite, il 99,5% dei casi di corruzione transfrontaliera coinvolge aziende non africane.

Difatti, molti sono i nomi noti accusati di corruzione. Nelle scorsi mesi è partito il processo che vede i giganti dell’industria petrolifera Eni e Shell accusati di aver pagato tangenti del valore di più di un miliardo di dollari. Secondo l’ipotesi investigativa i soldi sarebbero serviti per l’assegnazione del più grande giacimento di petrolio noto in Africa. Il giacimento, riferito alla licenza Opl 245, si trova in Nigeria, sul delta del fiume Niger. I soldi versati su un conto londinese della JP Morgan intestato al tesoro nigeriano, sarebbero stati poi spostati in una miriade di altri conti riferiti, secondo l’accusa, a faccendieri e funzionari del governo nigeriano. In particolare, il ruolo di personaggio chiave della vicenda ce lo avrebbe Dan Etete, ex ministro del Petrolio durante la dittatura militare. Secondo le accuse nel 1998, Etete quando era ancora ministro assegnò la licenza per l’esplorazione del lotto ad una società appena costituita, la Malibu oil and gas, dietro la quali ci sarebbe proprio Etete. Sia Shell che Eni negano di aver commesso alcun reato.

Sotto accusa è finita anche un’altra azienda petrolifera, la statunitense ExxonMobil, sempre per vicende africane. Anche in questo caso i fatti riguardano un giacimento petrolifero, il Blocco 13, a largo delle coste liberiane. Secondo alcune organizzazioni internazionali tra cui Global Witness, per l’acquisto della licenza l’azienda americana avrebbe aggirato la legge anti-corruzione Dodd-Frank firmata da Barack Obama. La vicenda coinvolge tra gli altri anche Rex Tillerson, l’allora amministratore delegato della società e attuale Segretario di Stato dell’amministrazione Trump.

Un altro nome noto è quello di Vincent Bolloré, il finanziere francese recentemente al centro delle cronache per il tentativo, evitato solo dall’intervento del governo, di acquisire Tim. Nelle scorse settimane, Bolloré è stato messo in stato di fermo e accusato di corruzione in merito a tangenti pagate per la concessioni di due porti africani, in Togo e Guinea. I porti fanno parte di una rete logistica che insieme ad altri affari in Africa costituisce  almeno il 20% dei ricavi delle sue società a sottolineare lo stretto rapporto tra l’Africa e Bolloré.

Questi casi sono tutti ancora da accertare. Ciò che, invece, è sicuro è quanto dannosa sia la corruzione per gli africani. Uno dei crimini più odiosi, e ancora più infame quando è fatto a danno dei più poveri.

di Pierfancesco Zinilli