La pace sia con voi
Sembra un paradosso ma la fine dell’idea nazionale palestinese potrebbe passare per un accordo di pace. Anzi, per “l’accordo del secolo”, come lo chiama Donald Trump.
Conoscendo quanto la politica regionale del presidente americano sia sbilanciata a favore di Israele, come dimostra il riconoscimento di Gerusalemme a capitale e il trasferimento dell’ambasciata americana, e seguendo le indiscrezioni filtrate in questi mesi sul piano in preparazione, non sembra ci si possa aspettare niente di buono per il popolo palestinese.
A novembre del 2017, rivelazioni anonime riportavano che il piano di pace contemplava la creazione di uno stato palestinese indipendente su un territorio non specificato, senza Gerusalemme capitale, con la permanenza di tutti gli insediamenti ebraici, senza alcun diritto al ritorno e lasciando a Israele il controllo della Valle del Giordano.
Un piano assolutamente sbilanciato ma sostenuto dell’Arabia Saudita e dell’Egitto, alleati degli americani e interessati alla sterilizzazione della questione palestinese – passaggio necessario alla normalizzazione delle relazioni tra paesi arabi e Israele – oltre che agli imponenti investimenti immobiliari per la ricostruzione di Gaza.
Una bozza successiva del piano, riportata dai media nei primi mesi di quest’anno, sembrava concedere un’eventuale capitale palestinese a Gerusalemme Est, il trasferimento di alcuni insediamenti e una protezione internazionale sui luoghi santi. Un piccolo passo nella giusta direzione.
Nell’ultima bozza del piano, però, sarebbe prevista l’istituzione di uno stato palestinese con confini provvisori su appena metà della Cisgiordania e della Striscia di Gaza e la rinuncia a Gerusalemme Est. Uno pseudo stato a sovranità limitata, privo di un controllo sulle frontiere che resterebbe nelle mani di Israele e con capitale ad Abu Dis, un quartiere di Gerusalemme est ma fuori dal muro israeliano.
Non sorprende che Abbas, presidente dell’Autorità nazionale (Anp), parli del piano di pace di Trump come dello “schiaffo del secolo”.
L’opposizione della parte palestinese non esclude che il piano possa, comunque, andare avanti. Anzi, potrebbe accadere quanto già successo 15 anni fa quando Israele si disimpegnò unilateralmente da Gaza. E’ ipotizzabile, cioè, un ritiro unilaterale dalla Cisgiordania. Ai tempi di Gaza, molti sostenevano che la comunità internazionale avrebbe protestato contro la legittimità di un piano di disimpegno unilaterale. La storia insegna che non solo tutti accettarono il fatto compiuto ma che questo, addirittura, trasformò il primo ministro Sharon da responsabile del massacro di Sabra e Chatila in statista.
Se la storia dovesse ripetersi difficilmente la comunità internazionale si comporterà diversamente.
I sostenitori dell’accordo, anche unilaterale, contano sulla possibile divisione dei palestinesi che, per il momento, non sembrano disposti ad accettare il piano. Una divisione tutta giocata sulla delegittimazione di Abbas e dell’Anp in Cisgiordania e sul sostegno economico ad Hamas a Gaza.
Il fatto che le manifestazioni di protesta contro il piano americano, iniziate il 2 luglio, siano state organizzate dal solo partito Fatah con il sostegno dell’Anp, non lascia presagire nulla di buono.
di Enrico Ceci