Diciotti, Aquarius, Life line: tutte le navi che stanno cambiano il volto dell’immigrazione a danno dei migranti

In questa epoca di porti chiusi il caso della nave della Guardia Costiera italiana, la Diciotti, risulta essere emblematico. I noti 67 migranti sono stati dapprima recuperati, in acque libiche, dal rimorchiatore Vox Thalassa, battente bandiera italiana e in servizio per la piattaforma petrolifera Total. Sulla Vox si è scatenato il caos: due uomini (ora indagati per violenza privata, ndr), sui 67 migranti, avrebbe avuto “atteggiamenti minacciosi” nei confronti dell’equipaggio, si crede dovuti al timore di essere ricondotti nei lager libici. “Manette per i dirottatori” è stato l’auspicio del ministro dell’Interno, Matteo Salvini: “Non autorizzo lo sbarco finché non avrò i colpevoli in galera”. 

Eppure in questo governo, che non apre le porte al prossimo, manca coesione: se Salvini intende proseguire con la sua linea dura, dal momento che “grazie al suo lavoro sono stati registrati 21 mila sbarchi in meno”, per il vicepremier e ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio “è inimmaginabile chiudere a una nave italiana” (la Diciotti appunto), tanto che è stata fatta attraccare a Trapani a seguito del tempestivo intervento del presidente Mattarella. 

Mentre Salvini lanciava dichiarazioni da Innsbruck, Austria, dove si trovava per la riunione dei ministri dell’Interno europei, il premier Giuseppe Conte era invece occupato a Bruxelles per il vertice Nato. Il presidente del consiglio si allinea con Matteo e non con Luigi e torna a parlare “dell’allarme foreign fighters dal nord Africa”. Con Giggi si era schierata giorni fa, con un intervento sul quotidiano Avvenire, la ministra della Difesa, Trenta, per cui “chiudere non è la strada, come non occorre demonizzare le Ong”. La coerenza, almeno in materia di immigrazione, non sembra essere il forte del governo gialloverde: tuttavia l’intenzione prevalente è quella di chiedere e ottenere una maggiore cooperazione dagli altri stati membri europei. 

Nell’ultimo vertice UE di giugno, dopo 10 ore di mediazione, i 28 leader hanno deciso di istituire degli “hotspot non obbligatori”: il presidente francese, Macron, ha subito fatto sapere che questi centri di accoglienza volontari dovrebbero certo comparire nei paesi di primo soccorso. Per Giuseppe Conte i Paesi del Mediterraneo non devono assolutamente sentirsi in dovere e la tanto celebrata Spagna ha fatto subito pervenire il suo secco rifiuto: non si può pretendere ancora dai cugini spagnoli dopo l’accoglienza dell’Aquarius.

La volontà del governo italiano è quella di non far arrivare migranti sulle nostre coste: bloccarli prima che muoiano in mare è la versione ufficiale. Ad oggi sono stati registrati 1000 morti, mentre nel 2017 sono stati tre mila: per il 2014, 2015 e il 2016 ci sono state cinque mila vittime ogni anno. Discorso a parte è quella della Libia, i cui sbarchi sono stati fortemente limitati a seguito del Patto Minniti: nessuno deve più intervenire nelle zone di competenza della Guardia Costiera libica. 

Un complicato scacchiere in cui ognuno sembra difendere le proprie ragioni: cosa succede però se i prossimi a bordo dell’ennesima Aquarius, Life line o altre Diciotti, non riescono ad attraccare in nessun porto e muoiono in mare? Proporremo anche per le salme di distinguere aventi diritto asilo dai migranti economici? Una bomba è davvero peggio della fame? 

di Irene Tinero

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