Su la serranda, giù la serranda: il valzer delle aperture domenicali

Poco più di mezzo secolo è bastato per rivoluzionare le nostre domeniche: dal giro di valzer de “La domenica andando alla messa” al giro a vuoto nei parcheggi degli outlet in cerca di un posto auto, la musica è cambiata. Se prima nei giorni di festa da ogni campanile salivano al cielo potenti colonne di preghiere, oggi laiche nuvole di desideri vanno a mescolarsi coi gas di scarico nei seminterrati dei centri commerciali. Questi smisurati bazar rivisitati in chiave moderna sono ormai un migliaio e impegnano una schiera infinita di lavoratori, commessi, vigilantes, addetti alle pulizie, tutta gente che una domenica libera non ce l’ha più, ha perso il dì di festa da passare in famiglia, con gli amici, i parenti e i conoscenti.

Cinquant’anni fa chi avrebbe mai detto che sarebbe andata a finire così?

Domenica è sempre domenica,

si sveglia la città con le campane.

Al primo din-don del Gianicolo

Sant’Angelo risponde din-don-dan

Anni ’60, Mario Riva canta “Domenica è sempre Domenica”. Ognuno, dice la canzone, può dormire tranquillamente, né clacson né sirene né motori. L’Italia si riposa, s’infila il vestito buono, va a messa, a pranzo siede a una tavola un po’ meno spartana e con la tovaglia pulita, fa visita ai parenti e al cimitero.

“Chissà, chissà

se davvero vai a vedere la tua squadra

o se invece tu mi lasci con la scusa

del pallone

Chissà, chissà

se mi dici una bugia o la verità.

La vera regina della domenica è la partita di pallone, il rito ancora tutto maschile del pomeriggio allo stadio, con le mogli che restano a casa ad aspettare. Non tutte, però. Soffia un vento nuovo per le donne, tira aria di conquiste ben più importanti di un posto in tribuna Monte Mario.

“Buona domenica

passata in casa ad aspettare

tanto il telefono non squilla più

il tuo ragazzo ha preso il volo…”

Arrivano gli anni ’70. Per un vertiginoso aumento del prezzo del petrolio conseguente alla guerra del Kippur, il governo italiano è costretto a contenere il consumo energetico. Le domeniche, non ancora ecologiche, rimangono prive di qualsiasi automezzo e agli italiani non resta che starsene in casa a guardare la televisione. Il il blocco del traffico, i tagli ai consumi energetici e le targhe alterne traghettano l’Italia fino ai gloriosi anni ’80.

“Domenica ti porterò sul lago

vedrai sarà più dolce dirsi ti amo

faremo un giro in barca

possiamo anche pescare

e fingere di essere sul mare.”

Sfuma il rito domenicale fatto di messa-pranzo-partita, la domenica italiana esce fuori porta, diventa itinerante, rischia persino di diventare ecologica. Che meraviglia stare sotto il sole, sentirsi come un bimbo ad una gita: il sogno domenicale di Fabio Concato dura un decennio, fino a quando negli anni ’90 esplodono i centri commerciali, che diventano l’attrattiva maggiore per le famiglie. L’Italia si arrende alle vetrine, come canta Niccolò Fabi:

“hanno vinto le corsie preferenziali

hanno vinto le metropolitane

hanno vinto le rotonde e i ponti a quadrifoglio

dalle uscite autostradali

hanno vinto i parcheggi in doppia fila

quelli multi-piano, vicino agli aeroporti

le tangenziali alle otto di mattina e i centri commerciali

nel fine settimana”

E’ di questi giorni la polemica sulla chiusura nei giorni festivi degli esercizi commerciali. C’è chi la chiede totale, chi solo parziale, chi a rotazione. C’è chi distingue tra località turistiche e anonime periferie, c’è chi si rassegna al progresso “costi quel che costi”, chi allo zeitgeist, al senso del proprio tempo. C’è invece chi vede nel lavoro festivo il ritorno ad un passato privo di qualsiasi conquista sindacale. Quando il dito indica la luna, dice il proverbio, lo stolto guarda il dito. E nel caso dei centri commerciali il dito è l’apertura domenicale, mentre la luna rappresenta i diritti mancati e lo sfruttamento dei lavoratori nella grande distribuzione: duttilità degli orari, ricattabilità, mancanza effettiva di diritto di sciopero e  mancanza di rappresentanza sindacale. Le liberalizzazioni hanno bruciato i diritti dei lavoratori, non solo quelli che lavorano i festivi o i notturni. D’altro canto col Pil in frenata, coi consumi e l’occupazione in calo, le chiusure domenicali manderebbero in fumo decine di migliaia di posti di lavoro. Escludiamo l’idea che Babbo Natale riposi la notte del 25 dicembre, ma facciamo in modo che sia pagato il giusto.

di Daniela Baroncini