Surawa bruciato a 18 anni

La baraccopoli di S. Ferdinando, vicino Reggio Calabria, ora è stracolma di immigrati: è la stagione degli agrumi. Nella Piana di Gioia Tauro sono oltre 4000 i braccianti che in condizioni di lavoro e di vita disumane sono lì per raccogliere arance e mandarini. La baraccopoli è stracolma di persone anche durante l’inverno gelido provano a riscaldarsi accendendo bracieri. E i fuochi sono pericolosi perché tutto nella baraccopoli è infiammabile”.
Surawa aveva freddo, la sua baracca era umida e tutti spifferi. Le coperte erano bagnate e gelide. Nulla poteva riscaldarlo. Nulla. Tramava. Batteva i denti. Surawa si era rannicchiato in un cantuccio della baracca, il naso gli colava, le labbra screpolate e le mani fredde. Surawa aveva le lacrime agli occhi, il cuore gonfio di nostalgia per la sua terra. Per il sole caldo della sua terra.
Gli mancavano gli odori intensi, i profumi e le parole della sua terra. Surawa era lì, lontano dalla sua terra, infreddolito, rannicchiato in un cantuccio umido della baracca. Piangeva in silenzio. Ingoiava la saliva del pianto in silenzio mentre si sfregava le mani. Era solo. Surawa era solo mentre moriva bruciato a soli diciotto anni.
di Claudio Caldarelli