L’ipocrisia di un occidente che riscopre l’inferno libico

‘Si ribadisce l’invito ai connazionali a non recarsi in Libia e, a quelli presenti, a lasciare temporaneamente il Paese in ragione della assai precaria situazione di sicurezza’. Il giudizio viene dalla Farnesina e non si riferisce al recente deteriorarsi della situazione in Libia. Parole in netta contrapposizione con la posizione del Viminale e del ministro Salvini che considera, o dice di considerare, il paese un porto sicuro. La cronaca ci racconta, invece, di una Libia sull’orlo di una guerra civile. Alla luce dell’evolversi degli eventi, il summit di Palermo dello scorso novembre sembra ancora di più una sceneggiata organizzata dal governo per ottenere una photo opportunity con gli esponenti delle due principali fazioni in lotta, Al Serraj e il generale Haftar.

Nei primi giorni di aprile l’Esercito di Liberazione della Libia (LNA), i combattenti di Haftar, è avanzato in direzione di Tripoli. Le truppe sono state fermate alla periferia della capitale dalla controffensiva ‘Vulcano di Rabbia’ lanciata dal Governo di accordo Nazionale. Gli Usa, attraverso il Segretario di Stato Pompeo, hanno chiesto ad Haftar l’immediata cessazione del conflitto. Nel frattempo si continua a combattere e in migliaia stanno fuggendo da Tripoli.

Il caos di oggi inizia nel 2011 con la caduta di Gheddafi. Come Tito per la Jugoslavia, Gheddafi riusciva, con la repressione e il pugno di ferro, a tenere unite regioni altrimenti sempre distinte. A est la Cirenaica, controllata da Haftar. La Tripolitania, la parte nord-occidentale, è, invece, sotto il comando del debole governo di Al-Serraj, sostenuto dalla comunità internazionale. Nelle altre regioni del paese sono presenti altre tribù, tra cui i Tuareg e i Toubou, mentre resistono ancora zone sotto dominio dell’Isis. La mossa di Haftar non è, però, del tutto inattesa. I suoi combattenti avevano negli ultimi mesi cercato di avanzare verso le regioni meridionali, cercando di accerchiare Tripoli. Erano riusciti ad occupare il campo petrolifero di El-feel e i pozzi petroliferi di El Sharara. Se il governo di Serraj è debole, le spalle di Haftar sono ben protette. Egitto, Arabia Saudita, Russia, Emirati Arabi Uniti e Francia sostengono il generale. La sua recente offensiva mira probabilmente a far valere questa sua forza, soprattutto in ottica della prevista, e non ancora cancellata, conferenza di pace a Ghadames.
Il presunto appoggio della Francia ad Haftar è stato denunciato direttamente da Serraj e dai media a lui vicini, che accusano Parigi di aver inviato esperti militari in supporto dell’Lna.

L’Italia, che ha nella Libia il partner principale nel Mediterraneo ed enormi interessi economici, ancora una volta dimostra la propria irrilevanza in politica internazionale. Continua a inseguire gli altri paesi occidentali allo stesso modo in cui li inseguì in occasione dell’intervento militare occidentale che portò all’uccisione di Gheddafi e all’inizio del caos. Le Nazioni Unite e tutte le Ong presenti in Libia manifestano forti preoccupazioni per le violenze che accrescono le miserie dei migranti e dei rifugiati, che sono sempre più a rischio perché intrappolati in zone di guerra senza neanche la possibilità di fuga. Anche il Segretario dell’Onu, Antonio Guterres, si dice “profondamente scioccato e commosso dalla sofferenza e dalla disperazione” dei rifugiati nei centri di detenzioni-lager di Tripoli. “Nessuno può sostenere” ha continuato ” che la Libia sia un porto sicuro di sbarco”. In Italia e in Europa la preoccupazione maggiore sembra essere solo quella di non permettere lo sbarco di alcune decine di migranti disperati. Mentre al di là del Mediterraneo la Libia assomiglia ad una polveriera pronta ad esplodere.
di Pierfrancesco Zinilli