Dall’Anatolia alla Sicilia tre sorelle sugli schermi del presente
Si diceva ieri della forma reticolare del Med. Della forma di base e del procedere quotidianamente in maniera reticolare. Così si trovano reticolarmente accomunate due diverse sezioni del Fest nella giornata di ieri: quella del Concorso Ufficiale e quella delle Perle – Alla ricerca del Cinema Italiano. E due film, uno turco, l’altro italiano. Attorno a un tema ancestrale, classico, tanto del teatro quanto della letteratura: quello delle tre sorelle. A Tales of Three Sisters, di Emir Alper, e Noi, di Antonietta Valabrega, sono due magistrali film che proseguono il cammino di questo tema dentro le forme d’arte e del pensiero nella contemporaneità. Attraverso due diversi generi cinematografici: narrativo il primo, documentario l’altro. Anche se spesso i due generi si intrecciano nelle due opere. Il film turco, infatti, è anche un vero e proprio documento etno-antropologico su costumi, usanze, rapporti di potere e contrasti familiari in un villaggio isolato e sperduto tra le montagne dell’Anatolia. Quello italiano un’autentica narrazione drammatica di una vicenda familiare che affonda le sue radici dentro quella immane tragedia di sterminio del secolo scorso che si chiama Shoah.
Il tema delle tre sorelle, dei legami ancestrali che le unisce, dei contrasti e degli interessi esistenziali che le contrappone, avvolge straordinariamente insieme Re Lear, di Shakespeare, Tre Sorelle, di Čechov, fino alle vere tre sorelle romanziere rivoluzionarie dell’800, Charlotte, Emily e Anne Brontë . E nel film di Emir Alper, quando nella scena finale il vecchio Sevket, grida ridendo: “Le mie tre figlie ingrate, le mie tre figlie ingrate!”, sembra davvero un Re Lear dell’Anatolia, simile al Re Lear della Steppa, di Turgenev, che ripete ormai bacucco sempre le stesse cose.
I due film hanno visto la presenza in sala, per la presentazione e il dibattito con gli spettatori, dell’attrice turca Ece Yüksel, che ha interpretato il ruolo di una delle tre sorelle, quella mediana, Nurhan; e della regista Benedetta Valabrega per il film italiano. Inutile sottolineare, inoltre, che la reticolarità tematica di queste due opere si lega al fil rouge delle donne, quale, basso continuo in voci, immagini, significati di tutto questo 25°Med.
Nella sezione Le Perle, Alla Ricerca del Cinema Italiano, prima e dopo Noi, sono stati presentati altri due notevoli lavori. Selfie, di Agostino Ferrente, e The Valley, di Nuno Escudeiro. Nel primo, già uscito già da tempo e con meritato successo nelle normali sale cinematografiche italiane, il regista ci racconta una vicenda delrione Traiano a Napoli, che risale all’estate 2014. Un carabiniere slitta, dice, su un suo colpo di pistola. Fredda Davide Bifolco, 16 anni, inseguito perché scambiato per un latitante. Agostino Ferrente, tra i maggiori esponenti del documentarismo italiano, incontra lì due amici di Davide, altri due sedicenni, e attraverso loro ci restituisce uno spaccato autentico di quella zona umana, oltre che lacero-urbanistico-contusa partenopea. Due guaglioni lontani – per consapevole scelta personale – dal crimine giovanile: uno barista, l’altro apprendista parrucchiere. L’idea di Ferrente è quella di affidare le riprese agli stessi due ragazzi, attraverso un cellulare, a mo’ di video-selfie. Il regista ha presentato il suo film e discusso con gli spettatori a fine proiezione.
Nel secondo, The Valley, si squarcia il velo su una realtà di migrazione per lo più misconosciuta, o emersa solo sporadicamente. Le migrazioni drammatiche non sono solo quelle sotto il video-occhio di tutti i grandi e piccoli media che avvengono tra le onde del mare. Ci sono anche le onde di terra, di roccia, di neve e gelo tra le alte montagne che segnano i nostri confini. Come quelli delle Alpi Francesi, nelle valli di Roya e Durance, dove a essere esposte ai pericoli sono anche le popolazioni che prestano aiuto di ogni tipo ai migranti. Sono i rischi repressivi di legge e polizia cui si espongono e che subiscono con incriminazioni e condanne per questa loro attività umanitaria. Un film documentario meritorio, coraggioso, di qualità per contenuti e forma. Eric Jozsef, giornalista di Liberation che ha seguito la vicenda, ha introdotto il film e partecipato al dibattito finale.
Sono iniziate, nel Foyer del Cinema Savoy, anche le Letture dal Mediterraneo, un’importante articolazione del Med, che ieri ha presentato il X Atlante dell’infanzia a rischio, a cura di Giulio Cederna e Save the Children. La prossima lettura è martedì 12 nov, alle 17.30, su trafficanti, scafisti, immigrati al Macro Asilo, in Via Nizza 138.
Di notevole valore, per contenuto e forma davvero inedita e innovativa, il film Fuori Concorso Synonymes, di Nadav Lapid, vincitore dell’Orso D’Oro a Berlino 2019, introdotto dal critico cinematografico Federico Pontiggia. Yoav, giovane ex soldato israeliano, fugge non solo dal suo paese ma dalla sua stessa nazionalità e madrelingua. Arrivato a Parigi, aiutato da Emile e Caroline, una ricca coppia di fidanzati, si impone di non dire più una parola in israeliano e di non vedere mai più neanche i suoi genitori. I sinonimi del titolo non sono sì quelli linguistici, e dunque, per forza di cose, anche quelli mentali, di modi, gesti, abitudini, visioni della realtà. Questo pone il ragazzo continuamente sull’orlo di una schizofrenia, follia, che è proprio quella che lui denuncia del suo paese e da cui vuole espatriare, estirparsi, fuoriuscire fin dal midollo delle ossa e la radice dei capelli. Ma è possibile? Un labirintico, funambolico reticolo di sinonimi, non di parole ma di immagini, è però tutto questo vertiginoso film.
di Riccardo Tavani