La lettera siriana lunga cinque anni filmata, firmata: Madre

Una perla dallo splendore tragico ma una vera, singolare perla. Quella grande rete madre cine-mediterranea, le cui maglie italiane si chiamano da venticinque anni MedFilm Festival, ce l’ha messa davanti agli occhi su uno degli schermi del Cinema Savoy. In novantacinque minuti una madre scrive per sua figlia le parole e le immagini lunghe i cinque ultimi anni vissuti ad Aleppo, Siria. Questo è For Sama. Waad al-Khateab, oggi giornalista, regista a 18 anni si trasferisce dalla Turchia ad Aleppo, per isciversiall’Università, facoltà di Economia. È al quarto anno quando scoppia la rivolta. Rivolta pacifica, gioiosa, di giovani soprattutto,per un’alternativa al regime corrotto e dispotico di Bashar Assad.  Islamici e cattolici sono uniti. Lei comincia a riprendere tutto con la sua telecamera. Strade, aule, stanze, cortili, muri, vernici, megafoni, bandiere: tutto ciò esprime fermenti, speranze, di libertà, giustizia, futuro. Registra tutto per cinque anni. Poi riavvolge il nastro dalla coda, lo riporta in testa, e capisce che tutto quel pazzesco lavoro assume un senso autentico solo se prende la forma di una lettera. Una lettera a sua figlia Sama. A ogni figlia siriana. Di ogni madre siriana. Della Madre, tout-court.

Scrive la video-epistola attraverso un serrato montaggio alternato. Inizia dalle sue foto di diciottenne nella casa paterna, per passare subito all’immagine della destinataria della lettera: tu, Sama. La tua immagine è da bambina poco più che neonata, tra dolci smorfie delle labbra, lallazioni, luce degli occhi bruni, i piedini portati morbidamente alla bocca. Poi, subito, i corridoi, le stanze dell’ospedale di Aleppo, sotto il bombardamento degli aerei russi. La bambina è in quelle stanze. Il suo giovane padre Hamza è il più importante medico dell’ospedale, e anche impegnato esponente di tutta la cominità cittadina. Tante persone, medici, infermieri, pazienti contano su di lui là dentro. In soli venti giorni sono state eseguite ottocento novanta operazioni chirurgiche e ricoveratecirca seimila feriti. Come è accaduto, e perché ti ho messo al mondo, Sama? In questo mondo? Attraverso Sama, Waad parla a tutto questo mondo. Le sue immagini della progressiva devastazione bellica di Aleppo finiscono in rete e sono viste da milioni di persone. “Ma nessuno ha fatto mai niente – dice Waad –, noi avevamo solo noi stessi gli uni con gli altri”. Perché non ti ho portato via, Sama, nella casa dei nonni, al sicuro, oltre il confine siriano? La bambina era spesso in ospedale, perché si pensava non potesse essere bombardato, nessun per quanto feroce assediante bombarda un ospedale. Così, Sama si ritrova spesso tra altri bambini che arrivano feriti, sanguinanti, morti, con le madri urlanti per lo strazio. Potevamo, però, abbandonare quella comunità, insieme a cui avevamo lottato, sperato, gioito e sofferto per dare anche a te un’esistenza migliore? E tuo padre poteva andarsene via, quando dalla sua presenza dipendevano altre vite, di madri, figlie, padri, bambini?

Un giorno, però, gli aerei russi bombardano e buttano giù anche l’ospedale. Hamza riesce a riadattarne uno dentro un edificio abbandonato, senza più pareti esterne, avvolgendolo con materiali plastici di riporto, come fosse un’opera dell’artista Christo. O forse un’opera direttamente di Gesù Cristo. E una notte ci provano a raggiungere il confine, ma il pericolo si dimostra ancora maggiore che sotto i missili che sventrano i palazzi della città e le cluster bombs, i micidiali ordigni che dilaniano la pelle, le ossa dei suoi abitanti, soprattutto dei bambini. I rastrellamenti, i controlli a maglia fitta delle pattuglie di regime verso il confine non fanno sopravvissuti, non lasciano testimoni.

 Come arrivano le parole, le immagini di questa lettera fino a noi? Ce lo racconta un susseguirsi incalzante, stringente di avvenimenti che prende sì alla gola, ma che mostra anche la forza, il canto, persino il riso di quella gente tra la polvere delle macerie e i gas al cloro vomitati dagli attacchi aerei. È un’irriducibile, abissale forza esistenziale anche nella disperazione. Quella forza che si configura come una nuova nascita nel ventre di Waad, in quanto Madre.

Così questo diventa non solo film tra tanti altri, ma il film, l’opera che si proietta drammaticamente ma con verità, autenticità su quel vasto schermo di acque e di terre che è l’intero bacino del Mediterraneo.

di Riccardo Tavani

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