I MIEI MIGRANTI

Sono stanco del presente. Per una volta, voglio guardare al passato, a momenti rimasti nella memoria, perché importanti.

Tutti in qualche modo legati a migrazioni, di ogni tipo.

Da un paese ad un altro, da una regione a un’altra, sempre alla ricerca di qualcosa di diverso, di meno squallido, di un minimo di benessere.

Ricordo Sheina, che in jddish significa bella.

Avevo dieci anni quando ci capitò in casa come profuga assistita da un’organizzazione cattolica.

Era una donna di cinquanta anni, ebrea, sopravvissuta ad Auschwitz. Non era bella, era brutta, era affamata, era sola, aveva negli occhi il terrore del campo di sterminio.

In qualche modo cercò di essere utile, insegnò rudimenti di tedesco a me e a qualche altro ragazzo. Sperava di poter andare negli Usa, la mandarono in Australia…

Ricordo Nella, una ragazza la cui famiglia aveva chiesto a mia madre di tenere in casa perché imparasse a fare la donna di servizio.

Aveva diciotto anni anni, sapeva a fatica leggere e scrivere. Era onesta.

Era il 1946 (noi eravamo a Viareggio) e lei nei fine settimana cercava di trovare qualcosa per sentirsi giovane e viva e con qualche amica andava a ballare.

C’era a Tombolo, in provincia di Pisa (anzi, credo ci sia tuttora) una base militare Usa, Camp Darby. E a Tombolo naturalmente c’erano locali di divertimento, ma anche e soprattutto tanta prostituzione. Luogo di perdizione, dicevano i giornali.

Mia madre era preoccupatissima per Nella, la scongiurò di non buttarsi via.

E una sera la ragazza arrivò con un soldato Usa, Peter, un ragazzo di colore.

Ricordo Peter, che volle parlare con i miei, ancora prima che ai genitori di Nella, e li rassicurò sulle sue intenzioni.

Che si rese conto delle condizioni di vita, della fame della famiglia della sua ragazza, ed ogni volta che veniva aveva viveri, anche grandi quantità di gelato, anche per la gente del quartiere.

E fu sincero, si sposarono, Nella è stata migrante negli Usa, ha vissuto nell’amore del suo Peter, ha avuto quattro figli e una vita molto migliore di quella che avrebbe vissuto in Italia.

Ricordo Gavino, dapprima migrante interno. I suoi, povera gente, l’avevano messo in seminario a Sassari. Ma non aveva vocazione, ne uscì a 18 anni. Aveva studiato bene ed era riuscito a vincere una borsa di studio a Roma, medicina.

A casa non avevano neppure i soldi per il viaggio, aveva venduto il materasso per pagarlo.

Studiò forsennatamente, a mensa a mezzogiorno mangiava anche per la cena. Si laureò e diventò migrante estero, era rimasto qualcosa del seminario.

Andò in Ruanda, in un ospedale di volontariato.

Ricordo Hanselm, nigeriano, cattolico, doppio migrante, arrivato in Italia perché perseguitato, clandestino. Cercava di vendere qualcosa girando nella strade. Era diventato un amico di famiglia, veniva a mezzogiorno a mangiare con noi. Poi trovò lavoro in Romagna, in una ditta che macellava suini, ebbe la cittadinanza italiana, si sposò con Nasha, una connazionale laureata in economia, che però in Italia non ha mai trovato lavoro.

Licenziato nel periodo di crisi del 2008, decise di emigrare ancora con tutta la famiglia, in Inghilterra.

Ci telefona ancora qualche volta, prega per la nostra salute, ci ha detto che il figlio può studiare, che con Nasha hanno lavoro sicuro con l’assistenza agli anziani “perché qui nessun inglese è disponibile a farla”.

Ricordo Martha, polacca, migrata in Italia ormai da quasi trent’anni, mediatrice culturale.

Venne al patronato Caaf CGIL a chiedere se era possibile dare una mano per fare corsi di italiano per migranti. E li facemmo.

Nessuno pensò di chiedere a chi venne se era con permesso o clandestino, e la riconoscenza delle decine di persone che frequentarono è stata incredibile, qualcuno in Italia faceva qualcosa per loro senza chiedere niente.

Martha continua con il suo impegno, è stata in prima fila per trovare sistemazione ai migranti di uno dei Cara, i centri per i migranti chiusi nel 2019 dal segretario della Lega in veste di ministro dell’interno.

Potrei ricordarne ancora tanti. Gente tutta che ci ha dato molto di più di quello che noi abbiamo dato loro.

Credo sia il momento che l’Unione Europea, nell’annunciato superamento dell’accordo di Dublino, sappia veramente attuare per i migranti concretezza di giustizia, di solidarietà, di diritto.

Spero che il Movimento 5 Stelle, il Partito Democratico, Liberi e Uguali, Italia Viva, partiti di governo, rendano giustizia ed attuazione ai principi di solidarietà verso tutti i migranti voluti, anzi riconosciuti nella nostra Costituzione, e mi auguro che anche nelle forze di opposizione si possano isolare i nazionalisti beceri, i razzisti, i nemici dei diritti di libertà, di uguaglianza, di fraternità.

Credo che la crisi dell’attuale modello di società sia un momento definitivo, che le esistenti pandemie di virus, di fame, di sete, di disoccupazione, di diritti calpestati debbano essere combattute con la determinazione di Francesco, diretta a tutte le donne e gli uomini della terra. Che sia quindi il momento di pensare una società più giusta, più solidale, più cristiana.

di  Carlo Faloci