Per i senza dimora, un morto ogni giorno dall’inizio dell’anno

Gli homeless non muoiono solo di freddo ma in tutte le stagioni, un allarme che non può passare inosservato.

Diverse cause ma il luogo è sempre lo stesso: la strada. Tragedie di cui non si parla, perché è una realtà scomoda da “guardare”, “osservare” e sulla quale proporre valide alternative per evitare così tanti morti.

E non è mai l’emergenza freddo o caldo, è solo l’emergenza strada che uccide.

I dati dell’ultima rilevazione della Fiopsd, la Federazione degli organismi per le persone senza dimora, sfatano dunque un solido luogo comune, per ribadire che la durezza della vita senza un tetto abbrutisce e uccide tutto l’anno. Fiopsd ricorda che le sue rilevazioni «non pretendono di avere carattere di scientificità», ma i dati parziali del 2022 preannunciano – con 224 morti in otto mesi appunto – un anno ben peggiore dei precedenti: nel 2021 erano stati 246, e 208 nel 2020.

Si muore per incidenti, violenza, suicidio, overdose, motivi di salute, annegamento, ipotermia. Chi muore per strada è nel 92% dei casi maschio, due volte su tre straniero, età media 49 anni.

«Chiunque di noi viva una situazione di difficoltà fisica o psicologica – dice Michele Ferraris, responsabile comunicazione della Fiopsd – a casa troverà un rifugio in cui riprendersi. Chi vive in strada è a rischio: è solo e vedrà acuirsi il suo problema. Chi ha patologie cardiocircolatorie d’estate rischia l’infarto, un’influenza d’inverno può degenerare in polmonite».

Dormitori e ostelli servono, ma non bastano: «Vanno lasciati al mattino e gli ospiti passano la giornata inseguendo orari e luoghi in tutta la città dove trovare pasti, docce, vestiti. Il pubblico deve impegnarsi in progetti seri per la casa. Di soldi ne arriveranno, anche con il Pnrr, vanno usati in progetti non assistenzialistici, creando reti di comunità tra pubblico e privato. Come l’housing first, che abbiamo avviato dal 2014». Cioè case per tre o quattro persone aiutate da volontari a riconquistare l’autonomia: «Quasi il 90% di successo a due anni dall’avvio». Le persone coinvolte sono 1.013 in 74 progetti, costo a persona di 26 euro al giorno.

Quello dei senza dimora, è uno scandalo che si ripete da anni e va affrontato impiegando il vasto patrimonio pubblico abitativo inutilizzato, i dormitori sono risposte per la prima accoglienza, per l’emergenza ma non ci si può vivere per mesi o anni, va recuperata un’autonomia di vita. I progetti di housing first sono una goccia nell’oceano, senza la disponibilità di un adeguato patrimonio immobiliare, restano esperienze pilota.

Certo il volontariato ha un ruolo di fondamentale importanza e tutti noi siamo grati a coloro che si rimboccano le maniche per i più fragili, per “gli ultimi”.

Ma non cadiamo nel tranello di pensare che il ruolo ineludibile dei volontari possa sostituire le responsabilità della politica e delle amministrazioni. Non deve e non può fare supplenza, né fornire alibi. Sono problemi sistemici che chiedono un concorso di sforzi, in direzione di una vera sussidiarietà orizzontale. I dati dicono anche che le vittime in maggioranza sono stranieri. Ecco, tanto per iniziare va ripensata una strategia di protezione di queste persone che hanno un accesso ridotto ai servizi socio-sanitari, per mancanza di documenti o di residenza. Un altro appello che si può fare è di vigilanza, di prestare un po’ più di attenzione perché a volte, per salvare una vita basta una bottiglia di acqua fresca, una telefonata al 112.

In questi giorni roventi di un’estate che ci ha regalato temperature insopportabili anche per chi dispone di aria condizionata, nelle città rimaste deserte, un gesto di attenzione in più può essere risolutivo perché specie in estate, quando molti servizi chiudono, diventa ancora più difficile sopravvivere tentando di procacciarsi il cibo o di lavarsi.

E a noi, in fondo che cosa costa?

Forse ci sentiremmo anche meglio con noi stessi per aver aiutato chi proprio di quel gesto aveva bisogno.

di Stefania Lastoria

 

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