Il giorno degli sciacalli

Di fronte alle tragedie, ci si aspetterebbe un comportamento corretto e dignitoso, eppure la storia ci insegna che esiste da sempre il fenomeno dello sciacallaggio. Quale guerra o terremoto non ha visto episodi di questo tipo? Certo, te lo aspetteresti da parte di poche persone che vivono ai margini della società, da qualche delinquente abituale, da rari psicopatici. Invece no, sono tanti, e sono gente come noi, indistinguibili a prima vista da chi si prodiga ad aiutare il prossimo, talvolta a rischio della vita, come i tanti eroi sconosciuti del covid 19.

Senza andar troppo lontano, ecco degli esempi istruttivi.

Dopo la tragedia del ponte Morandi, alcune aziende sono “arrivate nottetempo, come fantasmi, da ogni angolo di Genova, addirittura da Pisa, Brescia, Torino” (La Repubblica, 13 febbraio 2021) aprendo il domicilio fiscale all’interno delle zone rossa o arancione, per poter usufruire degli indennizzi e sgravi fiscali previsti per le aziende danneggiate dal crollo. La Procura di Genova sta ora indagando per i reati di falso e truffa ai danni dello Stato. I morti? Chi muore giace… dice il proverbio, con quel che segue.

Il decreto Cura Italia, che tentava di far fronte all’emergenza economica del primo lockdown, è stato usato, per mettere in cassa integrazione i propri dipendenti, da oltre 2000 aziende che non avevano subito danno alcuno, rimpinguando a spese nostre i loro guadagni. Se non bastasse, alcune hanno simulato l’assunzione retrodatata di amici e parenti per far avere anche a loro un po’ di cassa integrazione: quando si dice la generosità!

Ma anche molti privati cittadini sono sotto indagine per aver percepito indebitamente sussidi e indennizzi relativi alla pandemia. Nessuno stupore se, accanto a questi, anche qualche parlamentare ha richiesto indennizzi di cui non aveva bisogno alcuno! Un piccolissimo ma significativo nuovo partito trasversale (si sa, i piccoli partiti contano molto nel nostro sistema), quello degli sciacallini. Sia detto, per carità, senza offesa per gli sciacalli veri, che svolgono invece un compito utilissimo nell’ecologia del loro habitat: quelli umani, al contrario, non hanno alcuna utilità.

Questi sono i fatti più gravi ed evidenti, ma ci sono altre modalità, meno criminali ma altrettanto fastidiose, di trarre profitto dalle tragedie.

Manon Aubry, giovane europarlamentare di France Insoumise (Francia Indomita) ha lanciato accuse pesanti alla Commissione Europea e alla Presidente von der Leyen. Secondo le accuse, il governo europeo “si è inchinato” all’industria farmaceutica: le trattative sono state opache, allo stesso Parlamento si tengono nascoste le informazioni sui prezzi e sui programmi di consegna. “Siamo capaci di imporre restrizioni incredibili alla libertà dei nostri concittadini, ma non siamo in grado di imporre regole per big pharma?” incalza l’eurodeputata, con riferimento all’intoccabilità dei brevetti ed alla discrezionalità di alcune clausole contrattuali.

Il video del suo intervento furoreggia sui mezzi di comunicazione sociale. Giustamente, perché non è frequente sentire accuse così taglienti e dirette nel clima politico cui siamo avvezzi in Italia, dove spesso abbondano le offese ma scarseggiano le ragioni. Ma in questo intervento non ci sono né offese né giri di parole: la Commissione è tirata in causa senza mezzi termini, e messa di fronte alle sue responsabilità.

Forse la Aubry esagera; ma non mi sembra, a occhio e croce, che abbia torto. Sicuramente non sragiona. Soprattutto, ha il merito di portare all’attenzione dell’opinione pubblica un problema vero, di cui troppo poco si parla.

Il governo tedesco ha finanziato lo sviluppo del vaccino Pfizer-BioNTech con una cifra che, secondo alcuni organi d’informazione, assomma a 375 milioni di euro, versati al polo tedesco della multinazionale. Ovviamente, la pur consistente cifra non dà alcun diritto alla Germania nei confronti del brevetto: questo resta saldamente nelle mani della casa farmaceutica. Ma questo è normale, nel nostro mondo anormale, dove il brevetto, nato per remunerare l’ingegno umano, remunera soltanto il datore di lavoro di quell’ingegno: la “ditta” può farne ciò che vuole, pur senza averci messo né il cervello né, qualche volta, i soldi (vedere anche “Vaccini multinazionali” su Stampacritica del 30 novembre 2020).

Anche il nostro governo, giustamente, ha deciso di investire nella ricerca e produzione di un vaccino anti covid. Attraverso Invitalia (sarebbe una S.p.A., ma i soldi sono pubblici al 100%), investiremo 81 milioni di euro a favore di ReiThera. Dovrebbe essere sempre così, anche per altri settori dove l’interesse pubblico è rilevante. Ma se tu fai un brevetto con i soldi miei, ed io che ti ho finanziato non ho voce in capitolo né un ritorno di royalties, c’è qualcosa che non va.

C’è un precedente storico che illustra molto bene la questione dei brevetti.

Albert Sabin, che ha realizzato il vaccino orale antipolio usato per decenni in tutto il mondo, non ha mai voluto brevettarlo. Non solo. Lo ha donato a molti paesi (anche all’Unione Sovietica, da cui era fuggito da ragazzo) affinché tutti potessero produrlo e utilizzarlo. Non ci ha guadagnato una lira (anzi, un dollaro, visto che ormai era cittadino americano). Il che dimostra due cose. Primo: qual è la differenza tra uno scienziato e una casa farmaceutica, tra un essere umano e un’azienda. Secondo: che fruire del brevetto è pur sempre un diritto, ma non certo un obbligo. E poi ce ne sarebbe una terza: all’epoca di Sabin gli studi e le scoperte si realizzavano nelle università, non nelle case farmaceutiche.

Come si diceva, quando si parla di denaro la politica è spesso subalterna. Fa male vedere come in ogni catastrofe i soldi dello “Stato” vanno ad ingrassare la gente sbagliata: talvolta legalmente (esistono anche ingiustizie perfettamente legali) talaltra proprio no (scrivo “Stato” tra virgolette, perché in realtà quei soldi sono proprio miei e tuoi e di ciascuno di noi: lo Stato sembra un’entità astratta, invece è fatto della carne dei cittadini).

Legale, ma fondamentalmente ingiusto, è sembrato che FCA (ormai Stellantis) Italia ricevesse soldi nostri sotto forma di prestito garantito dallo Stato, mentre i loro azionisti ricevevano dividendi milionari. Se un’azienda stacca dividendi, vuol dire che ha avuto guadagni, non perdite; allora che c’entrano gli aiuti di Stato? In questo caso, gli azionisti hanno incassato i soldi e i cittadini si sono accollati il rischio. Gratis et amore Dei. A parte il fatto che la multinazionale ex Fiat non paga le tasse in Italia… ovviamente, a norma di legge.

Come si vede, il problema morale (e talvolta giudiziario) evidenziato da queste storie è anche un problema politico.

Per esempio, mi ha sorpreso che fossero così tante le imprese indagate per Genova e per i “ristori” della pandemia. Un fatto isolato te lo aspetti, ma duemila e più sono un bel problema. E, stando alle cronache giudiziarie, i casi delle aziende sono molto più numerosi dei casi di tipo personale. Il fatto morale diventa problema politico, perché il numero elevato di furbetti testimonia che quegli imprenditori sembrano contare su una sostanziale impunità. Chi ruba allo Stato probabilmente pensa – non senza ragione – di farla franca, perché nel lungo percorso delle indagini e dei processi interverrà al momento opportuno una bella prescrizione.

Sicuramente tra i “furbetti del ristoro” non mancano, io credo, coloro che si lamentano che lo Stato “mette le mani nelle tasche degli italiani” e anelano al taglio delle tasse. E quanti di questi pretendono di essere difesi dai ladri di tipo… più tradizionale, con pene più severe?

Ma, in realtà, sono loro a metterci le mani nelle tasche. E truffare lo Stato è comunque rubare, perché quei soldi sono miei e tuoi e di ciascuno di noi; e servono a garantire cose elementari, come le scuole o gli ospedali. Paradossalmente, un rapinatore di banche o uno svaligiatore di appartamenti fa molto meno danno: le pene più severe, le meriterebbero i “furbetti”.

Ecco perché – lo ribadisco – il discorso non è moralistico, ma politico: ed è importante capire da che parte stiano i politici. Ad esempio, alcuni si sono battuti per un allargamento della legittima difesa (ben condito con sgravi e sanatorie fiscali); altri, invece, difendono la certezza della pena, non inficiata dalle lacune di cui sanno ben approfittare i colletti bianchi. Alcuni dichiarano di volere più liberismo, altri sostengono l’intervento dello Stato. Ma, in realtà, l’unico vero liberismo è quello che non consente vantaggi ai più furbi, a scapito dei più capaci. E, paradossalmente, accade che i politici che, a parole, propugnano pene più esemplari in difesa del cittadino e un’economia più libera, nei fatti sostengono l’illegalità e minano il liberismo.

di Cesare Pirozzi     

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