I Rossellini: se non c’è verità non è cinema
Che cos’è la rossellinite? Una malattia, un estro, un influsso tanto malefico quanto benefico? Non si sa bene. Si sa solo che è ereditaria. Non in senso meramente genetico, ma rigorosamente cine-cromosomico. Tenta di spiegarlo l’autore e regista del sorprendente film documentario The Rossellinis, Alessandro Rossellini. La cine-genealogia è questa: Alessandro nel 1964 nasce dal matrimonio tra l’afroamericana Katherine L. O’Brien e Renzo Jr. Rossellini. Renzo Jr. nasce nel 1941 dal matrimonio tra la scenografa e costumista Marcella De Marchis e Roberto Rossellini, il genio autore e regista che sconvolge alla fine della seconda guerra mondiale la storia del cinema mondiale. Roberto nasce nel 1906 dalla casalinga Elettra Bellan e dal costruttore edile Beppino Rossellini. Beppino nel 1932 – su progetto dell’architetto Marcello Piacentini – costruisce in stile barocchetto, il Cinema Teatro Barberini a Roma.
Da questo momento cinema ed eredità genetica sono inseparabili nella stirpe Rossellini. Beppino, infatti, ottiene il libero acceso a vita nella sala per il figlio. E Roberto se ne serve per passare dal cinema che si vede, al cinema che si fa. Passo dopo passo: come montatore prima, poi attraverso tutti gli altri mestieri del set, fino all’aiuto regia e alla regia in prima persona. Inoculando in ogni fotogramma delle sue opere del dopoguerra quella luce di verità, di realtà che prenderà il nome riconosciuto in tutto il mondo di Neorealismo.
È questa la cosa sopra-sotto la pelle che si sente addosso Alessandro Rossellini e che in questo suo film lui chiama rossellinite? Non ci azzardiamo a rispondere per lui, sta di fatto che nel viaggio che compie per rimontare i fotogrammi sparsi per il mondo della famiglia, la verità gli erompe da ogni incontro, inquadratura, dialogo. È quello che la sua macchina da presa vuole ri-prendere, riportare dentro l’obiettivo, per una condivisa neo-obiettività. Verità mai pronunciate, spiacevoli tra loro discendenti, ma perfino verso l’aureolato nume da cui discendono. Da non dimenticare che tre di loro discendono anche da un altro nume femmineo, vera indimenticabile diva, diosa: Ingrid Bergman. Verità dette e ascoltate in una trasparenza cine-fotografica e personale tanto graffiante quanto aggraziata, nel senso proprio di illuminata dalla grazia. Colpiscono l’iride e la coscienza con questa loro vera luce di cinema. Come a dire: se è cinema non può che essere verità. O, inversamente: se è verità non può fare a meno di mostrarsi come cinema. Altrimenti un Rossellini non potrebbe neanche cominciare a sussurrare di come sia disceso da Roberto. È come se quella palandrana del nonno che sul set avvolge e protegge il piccolo Alessandro, fosse proprio la cappa mai dismettibile della rossellinite.
di Riccardo Tavani