Mio fratello che guardi il mondo…
“Mio fratello che guardi il mondo e il mondo non somiglia a te, mio fratello che guardi il cielo e il cielo non guarda te. Se c’è una strada sotto il mare prima o poi ti troverà, se non c’è strada dentro al cuore degli altri prima o poi si traccerà…”
La canzone di Ivano Fossati la dedichiamo a Camara Fantamadi, morto di caldo. Morto in schiavitù sui campi del brindisino. Morto a 27 anni. Camara veniva dal Mali e non vi farà più ritorno. È morto sulla cunetta di una strada di campagna. Ha smesso di pedalare, ha appoggiato la bicicletta in terra e si è messo in ginocchio. Poi si è accasciato. Ha smesso di respirare. Il suo cuore si è fermato. Aveva 27 anni. Camara Fantadi se n’è andato così dalla sua vita. Ci ha lasciato, piangendo, inginocchio al suo Dio, che è anche il nostro Dio. Ha pregato di accoglierlo, di non lasciarlo sul bordo di quella strada. Genuflesso a noi, alla nostra indifferenza, al nostro egoismo che non accoglie, che respinge. Si è inginocchiato, Camara, prima di morire a 27 anni, per lasciarci un segno di pace e di amore. Quella pace che non c’è. Si è inginocchiato all’amore. Quell’amore che non sentiamo, perché non siamo capaci di amare il prossimo come noi stessi. Eppure, la domenica, in chiesa, ci scambiamo il segno di pace. Confessiamo i nostri peccati, ma nascondiamo il più grande dei peccati che commettiamo: quello di non amare il prossimo. Quello di respingere i nostri fratelli. Quello della indifferenza che ci fa vivere pensando solo a noi stessi, rinunciando all’amore per il quale Cristo si è fatto crocifiggere. Camara, si è fatto crocifiggere dal sole cocente, ridotto in schiavitù dai caporali che ti costringono a lavorare con temperature che uccidono. Una quotidianità che tutti conoscono, ma che tutti fanno finta di non sapere. Nessuno interviene, nessuno cambia lo stato delle cose. Il caporalato rimane impunito, la schiavitù nei campi di raccolta aumenta di anno in anno, così come aumenta il profitto di imprenditori senza scrupoli. Di imprenditori famelici che non considerano la vita anzi la distruggono, annientano fino alla morte.
“Pensava soltanto a quello. Riportare la sua vita a quel punto. Nel punto dove si era interrotta. Si trattava di unire due lembi di terra, due lembi di tempo. In mezzo c’era il mare. Si metteva i fichi aperti sugli occhi per ricordarsi quel sapore di dolce e di grumi. Vedeva rosso attraverso quei semi. Cercava il cuore del suo mondo lasciato”.
Cercava i sapori del suo Mali, mentre si è inginocchiato in attesa che il suo cuore si fermasse sulle sterpaglie, in solitudine, abbandonato al suo tragico destino. Camara aveva il pianto negli occhi, mentre moriva, da solo, a soli 27 anni, sul bordo di una strada di campagna, sotto il sole, non c’era niente che gli ricordava il suo Mali. Nessun colore. Nessun odore. Nessun suono. Nessuna voce. Nessuno sguardo a guardare nel do do dei suoi occhi. Solo lacrime. Lacrime di sale. Lacrime di dolore. Lacrime di un amore per la vita che con indifferenza lo ha respinto. Lacrime che nessuno poteva vedere.
Papa Francesco nella enciclica “Fratelli tutti” scrive in apertura, sulla prima pagina: “Fratelli tutti, scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro “quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui”. Con queste poche semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita”.
Camara Fantamadi aveva 27 anni, veniva dal Mali, è morto giovedì, dopo aver lavorato sotto il sole a circa 40 gradi, il suo cuore non ha retto. Si è fermato, mentre pedalava per tornare a casa, dove nessuno lo aspettava. Dove non aveva acqua o cibo, ma solo miseria e solitudine. Aveva solo una brandina per dormire e poi la mattina presto ripartire. Su quella brandina sognava la sua terra e gli occhi di sua madre. Sognava di tornare senza più fame con il pane da condividere, sognava di sognare un amore grande da trasmettere ai suoi figli. In quella baracca di lamiera, dal caldo soffocante, Camara Fantamadi sognava, e quando sognava un leggero sorriso gli solcava le labbra e il viso si illuminava. Non pensava, Camara, di morire sul ciglio di una strada di campagna, a soli 27 anni, da solo, senza l’odore della sua terra. Non pensava, Camara, di morire sotto il sole, pero si è inginocchiato, per perdonarci della nostra indifferenza, per assolverci del nostro egoismo. Camara si è inginocchiato, in silenzio, per ricordarci che siamo fratelli “ …al di là del luogo del mondo dove siamo nati o dove abitiamo”. Si è inginocchiato, Camara, prima di morire, a soli 27 anni, per dirci che ci amava, che siamo suoi fratelli.
di Claudio Caldarelli e Eligio Scatolini