27 gennaio 2022 PER NON DIMENTICARE (e per ricordare a tutti quelli che hanno dimenticato)

Durante il processo di Norimberga ai criminali nazisti, Rudolf Hoess testimoniò che nell’estate del 1941 Heinrich Himmler, capo supremo delle SS e principale organizzatore dello sterminio ebraico, lo convocò a Berlino e lo informò che Adolf Hitler aveva preso la decisione di procedere all’annientamento totale degli ebrei d’Europa. Punto nodale, unitamente a tutti gli altri Lager ormai in funzione, sarebbe stato Auschwitz: quel Lager, secondo la volontà del capo nazista, avrebbe assunto il ruolo cardine nella soluzione finale del problema ebraico. Vennero allora potenziati altri campi che ebbero una funzione di corollario ad Auschwitz: Chelmno, Belzec, Sobibor, Treblinka, Majdanek e Birkenau. Per non parlare di Dachau, creato già il 21.3.1933 e destinato, originariamente, a custodia ed eventuale rieducazione dei prigionieri politici: comunisti, sindacalisti e, in genere, oppositori del nazismo. Successivamente, in seguito alle leggi di Norimberga ed a far data dal 1935, fu campo di concentramento anche per zingari, Sinti, Rom, Testimoni di Geova, omosessuali ed emigranti. Fu il primo Lager a riportare all’ingresso la famigerata scritta Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi). La furia assassina nazista aveva continuo bisogno di dimostrare la propria potenza e con il passaggio del Comando del Campo alle SS iniziarono le uccisioni di massa. Nel 1940, con la deportazione a Dachau di circa 15.000 polacchi fu costruito e messo in funzione il primo forno crematorio con successivo ampliamento numerico (i forni diventarono 5) per fronteggiare le crescenti esigenze di sterminio.

A far data dal 1941 tutti i lager, grandi o piccoli che fossero (al maggio del 1945 se ne contarono circa 20.000 disseminati in tutti i territori occupati) divennero campi di sterminio. E le atrocità furono indescrivibili. Forse soltanto i numeri, o le cifre che pur nella loro crudele asetticità fanno rabbrividire, possono rendere un’idea di ciò che realmente avvenne, anche se nessuna cifra potrà mai far sentire la drammaticità di donne, vecchi e bambini gasati e poi inceneriti, di esseri umani che prima dello sterminio e della barbarie dei forni crematori sono morti nel loro intimo, di menti che non potevano concepire quella immonda ed ignobile crudeltà umana e che invece furono costrette a viverla e vederla riflessa dagli occhi dei nazisti, ormai diventati solo uno strumento visivo e non più umano. Lì perirono non solo milioni e milioni di esseri umani, in quei campi di dolore e di sterminio perì il concetto stesso di umanità ed i cuori dei pochi sopravvissuti e di coloro che ebbero la sventura di conoscere quelle atrocità ne furono devastati per il resto della loro vita.

Ecco un quadro delle vittime (civili e soldati non combattenti) preso dai dati del Museum Memorial – Holocaust Encyclopedia- USA

Categoria Numero delle Vittime

Ebrei 6 milioni

Civili sovietici 7 milioni

Prigionieri guerra sovietici 3 milioni

Civili polacchi, non ebrei 1,8 milioni

Civili Serbi 312.000

Disabili che vivevano in istituti 250.000

Rom (zingari) 250.000

Testimoni di Geova 1.900

Persone definite asociali 70.000

VITTIME EBREE CALCOLATE IN BASE AL LUOGO DELLA MORTE

Luogo della morte Ebrei Deceduti

Auschwitz (compresi Birkenau, Monowitz e gli altri sottocampi) 1,2 milioni

Treblinka 2 925.000

Belzec 434.508

Sobibor 167.000

Chelmo 172.000

Fucilazioni in Polonia meridionale e centrale 200.000

Fucilazioni in Polonia occidentale 20.000

Decessi in altri campi di concentramento 150.000

Fucilazioni e uccisioni in camere a gas mobili in Unione Sovietica 1,3 milioni

Fucilazioni di ebrei deportati in Unione Sovietica 55.000

Fucilazioni e uccisioni in camere a gas mobili in Serbia 15.088

Fucilati o torturati a morte in Croazia dal regime Ustascia 25.000

Numero di morti nei ghetti 800.000

Altri 500.000

Ed il fascismo che ruolo ebbe in tali atrocità? Il 5 settembre del 1938, preceduto ed anticipato da un articolo del Giornale d’Italia del 15 luglio 1938, titolato “Manifesto della Razza” nel quale si affermava che le razze umane esistono”, il governo fascista, in ossequio agli accordi con la Germania del 1936 (Asse Roma – Berlino), e del 1937 (Patto Anticomintern contro l’Unione Sovietica), pubblicò il Regio Decreto Legge 1340, voluto da Mussolini, con il quale si disponeva l’esclusione dalle scuole di ogni ordine e grado, con effetto immediato, degli alunni e degli insegnanti definiti di razza ebraica e fu istituito presso il Ministero dell’Interno il Consiglio Superiore per la demografia e la razza. Furono vietati i matrimoni misti e gli ebrei furono scacciati dalle scuole, fu vietato loro di esercitare il commercio e le attività imprenditoriali e furono loro imposte numerose altre vessazioni e limitazioni alla libertà della persona.

Ebbe allora inizio, anche in Italia, una vera e propria caccia all’Ebreo ed il 16 ottobre 1943 ben 365 soldati tedeschi, agli ordini del capitano Theodor Dannecker, circondarono il Ghetto ebraico di Roma e prelevarono 1022 cittadini romani, che avevano la sola colpa di essere ebrei, e li caricarono alla stazione Tiburtina su un treno con destinazione Auschwitz. Di quei 1022 soltanto in sedici ebbero la fortuna di ritornare a casa.

Tra i 1022 deportati e caricati su quel treno c’erano anche 8 cittadini tolfetani: Virginia Piperno, il marito Leone Bondì, e i loro sei giovanissimi figli, Anna, Benedetto, Elena, Fiorella, Giuseppe e Umberto.

La foto di quella famiglia, di quei nostri concittadini, diventerà il simbolo della Shoah per la comunità ebraica romana ed è attualmente esposta nel Museo della Liberazione di Via Tasso, a Roma.

Per incidere con caratteri imperituri il ricordo della Shoah (la distruzione) è stato istituito il Giorno della Memoria; e la scelta della ricorrenza è caduta sulla data fondamentale deI 27 gennaio, giorno in cui le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di sterminio di Auschwitz. Primo Levi racconta, con le parole vivide e definitive della sua testimonianza, gli sguardi sbigottiti di quei giovani liberatori russi, che si aggiravano muti tra l’orrore del campo.

Ma appena 30 mesi prima, il 5 maggio 1942, vi fu chi, nella sua qualità di Capo Redattore de La Difesa della Razza, ebbe il cinismo, l’impudenza e la sfrontatezza di scrivere le seguenti ignobili parole: “Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore». «Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue».

Si trattava di Giorgio Almirante.

Almeno per noi e per tutti gli animi che hanno a cuore i valori di libertà e di uguaglianza, il sangue innocente di tutte le vittime della crudeltà nazifascista ed in particolare di quei sei bambini e dei loro genitori invocherà per sempre giustizia.

Non dimenticheremo mai!

di Pietro Lucidi