Nino Di Matteo resta a Palermo
Nino Di Matteo ha rifiutato la proposta di trasferimento avanzata dal Consiglio Superiore della Magistratura. Dopo l’ennesimo allarme, destato da un’intercettazione effettuata nell’ambito di un’indagine sulle famiglie palermitane, l’organo di autogoverno si è ridestato da un sonno lungo quattro anni e ha fatto una grande scoperta: Nino Di Matteo corre un grave pericolo. Sono serviti anni di minacce da Matteo Messina Denaro, da Riina, è servito quel tritolo mai ritrovato, i racconti dei pentiti, le intercettazioni perché se ne rendessero conto. Anni in cui il Pm della Trattativa è stato relegato nell’ombra, osteggiato, abbandonato. Nessun Presidente del Consiglio ha speso una parola in suo sostegno. Nessun Presidente della Repubblica. Che finché si parla di Napolitano è forse pleonastico star qui a sottolinearlo, ma il silenzio di Sergio Mattarella segna un vuoto terribilmente evidente. Non sono sufficienti le parole spese nelle ultime settimane dall’attuale Presidente della Repubblica per esortare Di Matteo ad abbandonare Palermo. Non si dimentichi che appena un anno fa, quando in centinaia a Roma scesero in piazza per rompere quel muro di silenzio edificato intorno al magistrato palermitano, alla chiamata di Salvatore Borsellino, Sergio Mattarella non rispose. Parallelamente, non si dimentichi il trattamento che il CSM, che ora tanto si preoccupa per le sue sorti, ha riservato a Di Matteo. Bocciato, nell’Aprile del 2015, quando concorreva al ruolo di Sostituto Procuratore in Direzione Nazionale Antimafia. Superato da colleghi con molta meno esperienza. Neanche presa in considerazione la domanda avanzata lo scorso Luglio per il posto di Procuratore aggiunto in Dna, pare avesse dimenticato un allegato e compilato male qualche altro pezzo di carta. Oggi Nino Di Matteo rifiuta e ha ragione. “ Accettare un trasferimento d’ufficio connesso esclusivamente a ragioni di sicurezza sarebbe stato un segnale di resa personale e istituzionale che non intendo dare […] La mia aspirazione professionale di continuare a lavorare sulla criminalità organizzata trasferendomi alla Dna si realizzerà eventualmente solo se e quando sarò nominato in esito a una ordinaria procedura concorsuale” dichiara durante l’audizione di fronte alla Terza Commissione del Csm.
Di Matteo rifiuta e ha ragione perché quel posto meritava di ottenerlo già da tempo, in nome di quella ostinata battaglia che forse, sola, potrebbe ridare uno spiraglio di speranza a questo Paese guastato dal malaffare. Di Matteo rifiuta e ha ragione perché accettare avrebbe significato garantire sonni tranquilli a tanta gente. Membri del Csm compreso che, con questa ipocrita mossa, sono convinti di essersi messi l’anima in pace. Oh, se a Di Matteo proprio dovesse accadere qualcosa loro glielo avevano detto. Fa bene a rifiutare, Di Matteo, per quella campagna che certamente gli sarebbe stata montata contro se avesse detto sì. Da un semi-sconosciuto, Nino Di Matteo sarebbe stato il traditore, il vigliacco che molla il processo sulla Trattativa per andarsene a fare carriera. Parli il Csm, il Presidente della Repubblica, le istituzioni tutte del lavoro svolto da Nino Di Matteo e non soltanto, quando messi alle strette, dell’incolumità fisica. Si celebri, una volta tanto, la normalità di un magistrato, la normalità di chi svolge il proprio lavoro diligentemente, la normalità di chi ottiene un posto perché lo merita. Si spendano le stesse parole per esprimere solidarietà all’uomo e al suo coraggioso, ostinato impegno civile. Nino Di Matteo resta a Palermo, perché l’antimafia vera è fatta di normalità.
Di Martina Annibaldi