La non-guerra e il Nabucco

Nel febbraio 2006 Roberto Calderoli, all’epoca ministro delle riforme, mostrò in televisione una maglietta sulla quale era riprodotta una vignetta satirica su Maometto. In seguito al suo gesto, una folla inferocita assaltò il consolato italiano di Bengasi, in Libia. Il personale fu portato in salvo dalla polizia, che per farlo dovette sparare, lasciando a terra 11 morti e diversi feriti, tutti libici.

Certamente il povero Calderoli non poteva prevedere che quel gesto avrebbe provocato una piccola strage, ma undici vite umane sono undici vite umane, e sarebbe stato normale manifestare un po’ di dolore o di sgomento, cosa che lui si guardò bene dal fare. Forse per quella stessa vena di razzismo che mostrò paragonando all’orango la sua collega ministra Kyenge.

Ricordo questo brutto episodio perché sembra che ci sia un fatale legame tra i politici della Lega e le T-shirt. Anche Salvini ha indossato magliette per lanciare messaggi politici, ed anche lui è finito al centro di una brutta vicenda internazionale. Per fortuna senza morti né feriti, ma con altrettanta vergogna per il nostro Paese. Forse lo slogan “prima gli italiani” si riferisce alle figure di m…

Questa volta la maglietta raffigurava Vladimir Putin, e la cosa non è per niente piaciuta a chi si trova pericolosamente vicino al teatro di guerra e quotidianamente riceve le ondate di profughi ucraini. Anche se, come il sindaco di Przemyśl è schierato dalla stessa parte politica di Salvini.

Ma perché parlare di magliette in un momento così grave, quando i morti sono tragicamente molto più di allora e la pace sembra un miraggio lontano?

Perché anche le magliette sono un modo di parlare, di esprimere le proprie idee, di lanciare messaggi politici; e, a saper ascoltare e comprendere, si può riuscire a capire meglio il senso degli avvenimenti e le prospettive future.

Può essere utile, ad esempio, prestare attenzione alle idee di Putin sull’Ucraina. Dopo averle manifestate nel 2014 e pubblicate in un saggio lo scorso anno, le ha ribadite immediatamente prima dell’invasione. Secondo Putin l’Ucraina «non ha mai avuto una tradizione stabile come nazione a sé stante», «è stata interamente e completamente creata dalla Russia»; Lavrov ha poi spiegato meglio il concetto: l’Ucraina «non ha il diritto di essere una nazione sovrana».

L’argomento non è nuovo. Anche il principe von Metternich sosteneva che «la parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle». Giustificava così l’occupazione del Lombardo-Veneto e la crudeltà con cui reprimeva i moti indipendentisti. È il solito concetto: voi non contate, non avete alcun diritto all’autodeterminazione, anche la vostra vita non conta poi tanto. Una posizione che la dice lunga sulle possibilità di risoluzione negoziale della guerra che oggi insanguina l’Europa.

E invece sembra evidente che gli ucraini si sentono un popolo, e la determinazione con cui si oppongono al preponderante esercito russo rivela meglio di tanti discorsi il loro senso di identità e il loro patriottismo. E che senso ha il patriottismo, se la patria non è mai stata “una nazione a sé stante”?

Già: anche loro esprimono idee, e dobbiamo ascoltarle. Anche Zelensky indossa sempre una maglietta, di tipo militare: e anche questo è un messaggio, che si traduce nella parola “resistenza”.

Ancor più significativo è il linguaggio degli atti. Putin ha fatto arrestare senza tanti complimenti coloro che manifestavano contro l’aggressione all’Ucraina. Abbiamo visto le ragazze e i ragazzi portati via dalla polizia, anche una simpatica ragazza di oltre ottant’anni, Yelena Osipova, sopravvissuta all’assedio di Leningrado: una patriota di fede provata, ma non per questo una stupida nazionalista.

Altro fatto: da pochi giorni in Russia è in vigore una nuova legge, che punisce chi diffonde fake news o getta discredito sulle forze armate. In base a questa legge è stato fermato un prete ortodosso che aveva messo sul sito della sua parrocchia il link a una petizione contro la guerra, ed è stata multata una donna che aveva scritto sulla neve “no alla guerra”: sono solo due esempi tra gli innumerevoli casi di cittadini perseguiti a causa di questa legge ridicola. Poiché non si può punirli in quanto pacifisti – il pacifismo non può essere reato, neanche in un regime autoritario – li si punisce con l’accusa di diffondere fake news: la guerra non c’è, le forze armate russe stanno conducendo un’operazione di pace, e chi dice il contrario è un pericoloso criminale.

Riassumendo: l’Ucraina non è degna di esistere e la guerra non c’è. La Russia si sta solo difendendo dell’aggressione ucraina. Ma se qualcuno volesse intervenire a difesa dell’Ucraina, questo sarebbe un atto di guerra. Ecco la posizione politica del governo di Mosca. Le sanzioni economiche anti russe sono un atto di guerra, ma le speculazioni russe sul prezzo del gas e del petrolio non sono un atto ostile.

In conclusione, ogni gesto, ogni parola ed ogni atto finiscono con lo svelare i veri contenuti di una politica. E rendono evidente che la Russia di oggi è governata da un regime dittatoriale, che cinicamente usa la forza per mantenere il potere interno e per espandere i suoi domini territoriali. Il governo ucraino, per contro, non ha mai ucciso o tentato di avvelenare i suoi oppositori, né ha mai mostrato mire espansionistiche, ma si trova ad affrontare una guerra non voluta. Il resto del mondo sta a guardare, ma non ha ancora trovato il coraggio di difendere efficacemente le vittime dell’aggressione militare.

Ieri il coro e l’orchestra del teatro dell’opera di Odessa sono usciti sulla strada e hanno intonato il “va pensiero” di Verdi. Il senso era chiaro: stavano dicendo addio alla loro terra, stavano anticipando il dramma dell’esilio di un popolo. La scelta di quel pezzo musicale mi è sembrata emblematica: abbiamo molte cose in comune e soffriamo tutti allo stesso modo. Non stanno vivendo anche loro un dramma paragonabile alla nostra resistenza o al nostro risorgimento? Non sono come gli ebrei deportati in massa da Nabucodonosor?

di Cesare Pirozzi