ANGELO ANNIBALI: semplicemente un grande uomo

(seconda parte)

È saggio non essere eccessivamente

pieni di sé, sebbene sia saggio anche

non essere modesti al punto di

rinunciare all’intraprendenza.

Bertrand Russell

Alle elezioni comunali del 1975 vinse la lista di sinistra (P.C.I. – P.S.I.), Alessandro Vittori fu eletto Sindaco ed Angelo assunse l’incarico di Vice Sindaco con delega alla cultura ed alla Pubblica Istruzione. Le Regioni, come strumento di decentramento dei poteri centrali, erano state istituite solo nel 1970 e dopo appena un lustro di funzionamento la Regione Lazio fu costretta a fronteggiare un autentico assedio di Sindaco, Vice Sindaco ed assessori alla ricerca di finanziamenti per la realizzazione dei sogni coltivati in quegli anni in cui la fantasia era salita al potere e tutto sembrava a portata di mano, appena dietro l’angolo. Ed in effetti l’impegno fu enorme ma bisogna riconoscere, in omaggio alla onestà intellettuale ed in spregio a quella vanagloria che Angelo tanto disprezzava, che il fiore all’occhiello delle realizzazioni degli anni ’70/80, rappresentato dallo spostamento dello stadio alla Cavaccia e dalla destinazione dell’area del campo sportivo di Sant’Antonio a sede delle scuole medie e materne, era già iniziato con l’Amministrazione Aurelio De Fazi, della quale prima Dante Simonetto e poi Amedeo Mancini furono assessori alla Pubblica Istruzione (che bellezza vedere che in quegli anni il Ministero si chiamava ancora della Pubblica Istruzione e non semplicemente dell’Istruzione, in omaggio agli interessi dei privati!). Bisogna anche ricordare che nel 1972 l’allora Consiglio Comunale assunse un impegno di spesa di 65.000.000 di lire, finanziato con un mutuo del Credito Sportivo, per la realizzazione di un campo sportivo alla Cavaccia, lavori propedeutici alla liberazione dell’area in loc. Sant’Antonio al fine di poterla adibire a sede delle scuole. I relativi lavori furono appaltati nel 1973 alla Ditta Vincenzo Frezza e di tutto l’iter va dato atto e merito agli amministratori di allora. Tutti questi precedenti erano a perfetta conoscenza di Angelo che, durante uno scambio di opinioni in merito alla situazione, mi disse che lui voleva continuare da quello che aveva trovato, che mai e poi mai si sarebbe preso meriti non suoi e che voleva portare a compimento i sogni degli allumieraschi lasciando un segno nella vita paesana e non come quello della lumaca di Trilussa: “La lumachella de la Vanagloria, ch’era strisciata sopra un obelisco, guardò la bava e disse: «Già capisco che lascerò un’impronta nella storia».

E, in effetti, quasi in omaggio al pensiero di Goethe, secondo il quale merito e fortuna sono concatenati e solo gli stolti non lo comprendono, ad inizio del 1977 si avviarono ad ultimazione i lavori della Cavaccia mentre già dal 1976 era stata presentata, a firma del Sindaco Alessandro Vittori, una richiesta di finanziamento alla Regione Lazio, Ass.ri Dell’Unto al Bilancio e Panizzi ai LL.PP., di 624.000.000 di lire per la costruzione delle scuole al Campo Sportivo Sant’Antonio. Quella richiesta, seguita da Angelo e sostenuta e perorata con l’allora assessore regionale al bilancio anche dal Segretario della sezione del PSI Dante Simonetto, ottenne un finanziamento di 400 milioni di lire; i lavori, appaltati, in esito a gara, al Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna, e realizzati dalla Coop. Cinque Monti, dovevano essere consegnati per l’a.s. 1980/81. Insomma, in pochissimi anni, parte delle ambizioni di una vita del popolo allumierasco, compendiate nella voglia di avere uno stadio ed una scuola degna di questo nome, stavano prendendo forma. Tutti i nati fino al 1949, che avessero voluto continuare negli studi dopo la quinta elementare, dovevano scegliere tra l’avviamento professionale o superare un esame di ammissione alla continuazione degli studi e recarsi a Tolfa, o in altre città o collegi, per frequentare la scuola media. Solo dal 1961, quindi per i nati dal 1950, fu aperta ad Allumiere la scuola media unificata, ubicata nei locali dell’oratorio parrocchiale. Per non parlare del campo sportivo di Sant’Antonio dove, per assoluta mancanza di ogni minimo requisito di sicurezza, non erano rari ed infrequenti i tentativi di invasione di campo da parte di una turbolenta frangia della tifoseria. Una volta, dopo una partita un po’ sentita ed una pur deplorevole invasione di campo, Il Messaggero titolò “Scendevano dalla collina come un’orda di barbari”, descrivendo le inumane acrobazie che alcuni tifosi facevano saltando dalla tribuna naturale rappresentata dal Faggeto al sottostante campo sportivo. Nonostante l’invasione di campo si fosse concretizzata in azioni non propriamente pacifiche nei confronti dei giocatori avversari e dello stesso arbitro, quel titolo non era andato proprio giù alla più estrema tifoseria calcistica (o paesana?), tanto è vero che qualche tempo dopo l’improvvido estensore dell’articolo, casualmente presente in piazza de la Lumiera, mentre usciva dal Caffè di Peppino, fu riconosciuto da un tifoso ed additato alla pubblica vendetta che puntualmente avvenne e ampiamente confermò e giustificò l’espressione orda di barbari.

Angelo sapeva sorridere bonariamente di questi episodi e riusciva a cogliere in ogni comportamento del prossimo l’aspetto che, sia pure nascosto, secondo lui tradiva la presenza di una umanità interiore anche nelle più crude manifestazioni di intolleranza verso gli altri. Non c’era riunione di Giunta o di Consiglio nella quale non spendesse una parola per rasserenare gli animi di quanti fossero presi da momenti di forte e furiosa dialettica oppure esponesse le proprie ragioni accompagnandole con quel suo tipico sorriso e quella bonaria espressione del volto che stemperava nei suoi interlocutori qualunque forma di acredine. Lui, per dirla con Proust, possedeva quelle qualità che aiutano a sopportare i difetti del prossimo e gli uomini di grande ingegno, come lui era, prestano poca attenzione alla stupidità altrui e, in ogni caso, ne prestano meno di quanta ne presti uno sciocco.

Il suo pensiero era concentrato sulla realizzazione della agognata scuola al campo sportivo e non riuscivi a parlare con il Sindaco Vittori o con Angelo senza che, dopo massimo una ventina di parole, il tema del colloquio tornasse ancora una volta sui lavori alla Cavaccia e sui tempi necessari alla ultimazione dell’intero ciclo programmato. Tanto impegno fu premiato e i lavori del campo sportivo si conclusero, grosso modo, nei tempi previsti, così come i lavori di realizzazione delle scuole medie e dell’edificio della materna. Finalmente si realizzò quello che ad Allumiere si aspettava da anni e tanta fu la gioia di vedere i ragazzi frequentare la nuova scuola che l’ingresso fu anticipato senza attendere nemmeno il compimento dell’intero iter. La voglia di aprire le porte della nuova struttura ad una folla vociante di studenti e studentesse era, del resto, incontenibile cosicché non si lasciò spazio ad ulteriori indugi ed il formale collaudo, pur in presenza di alcune criticità che certamente non ne compromettevano, almeno allora, la sicurezza, fu rinviato a tempi più… consoni.

Ovviamente Angelo non tralasciò niente di tutto quello che aveva rapporti con i servizi scolastici, dalla mensa alla fornitura dei libri di testo, dai soggiorni estivi alle borse di studio, o con i servizi sociali. Soleva continuamente ripetermi, nonostante la sua allora giovanissima età, che la vita ci priva di momenti importanti e le occasioni talora ci vengono rubate, si perdono e spariscono come nebbia al sole e che noi abbiamo pertanto l’obbligo di reagire e di combattere per raggiungere i nostri obiettivi, sapendo che, se non lo facessimo, dovremmo profondamente vergognarci con noi stessi per essere stati così sciocchi e negligenti.

Nel frattempo il mandato del Sindaco Vittori era ormai decorso e gli accordi politici tra P.C.I. e P.S.I. prevedevano un cambio di guida dell’amministrazione comunale, pur mantenendo la stessa alleanza tra le due forze politiche. Due persone perbene, due uomini che sapevano dare un senso all’impegno politico di un paio di generazioni di allumieraschi avevano riempito di se stessi un quinquennio di storia paesana e si proiettavano, sia pure alternandosi, verso un altro impegno comune. Gli chiesi allora cosa prevedesse per la futura amministrazione, al di là di una vittoria che appariva certa, e se avesse timore in ordine a possibili incomprensioni dettate dallo scambio dei ruoli. Mi rispose che anche noi due eravamo su sponde separate, che ognuno aveva il suo partito di riferimento e però avevamo rispetto l’uno dell’altro e sapevamo e conoscevamo i valori che ci univano: mi abbozzò infine un passaggio dell’Inno dei Lavoratori di turatiana memoria

Se divisi siam canaglia,

stretti in fascio siam potenti;

sono il nerbo delle genti

quei che han braccio e che han cor.

Ogni cosa è sudor nostro,

noi disfar, rifar possiamo;

la consegna sia: sorgiamo

troppo lungo fu il dolor.

Al di là delle qualità canore, che allora giudicai leggermente scadenti e cacofoniche, sia nel ritmo che nell’armonia, convenni con lui che una ferrea unità di intenti sarebbe stata risolutrice di ogni possibile incomprensione, specialmente se, come appare dalla foto che segue, Riccardo Rinaldi avesse assunto, come seppe fare in tutta la sua immensa dose etica e morale, il ruolo di garante.

Infiniti ringraziamenti a Franco Pierini per la messa a disposizione del materiale fotografico

di Pietro Lucidi

(continua)

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