Crisi climatica e politica di destra

Secondo l’ultimo aggiornamento del rapporto “WHO global air quality guidelines” (Linee guida sulla qualità globale dell’aria dell’OMS), ogni anno muoiono nel mondo oltre 7 milioni di persone a causa dell’inquinamento atmosferico; in Italia circa 90.000. Dietro questi numeri, non certo trascurabili, ci sono dieci volte più malati che, a causa dell’inquinamento, richiedono maggiori cure e assistenza, per un costo umano ed economico ancor più alto.

Queste cifre sono il risultato di ricerche epidemiologiche molto accurate, ma una piccola idea del danno provocato dallo smog l’abbiamo avuta durante il lock down più restrittivo: in alcune province del nord Italia la mortalità era triplicata a causa del covid19, mentre a Roma, non ancora flagellata dalla pandemia, l’azzeramento del traffico automobilistico aveva portato un’aria più respirabile e una diminuzione della mortalità generale.

Gli inquinanti dell’aria, causa di tanti morti e ancor più malati, sono presenti soprattutto nelle grandi città, dove inutilmente si cerca di arginare il fenomeno con le giornate a targhe alterne e qualche domenica a piedi, e sono dovuti principalmente ai veicoli con motore a scoppio e al riscaldamento di abitazioni, uffici e negozi.

Questi aspetti locali si sommano al fenomeno planetario della crisi climatica. Anche questa uccide, soprattutto nei Paesi del sud del mondo, a causa di siccità e carestie, inondazioni e uragani. Nei Paesi più ricchi si fa sentire soprattutto sul piano economico: in Italia la siccità è costata sei miliardi per la sola agricoltura nel 2022; le alluvioni sono costate 20,3 miliardi di euro nel periodo 2013-2019; i morti sono di meno, ma ci sono.

Per tali motivi la Comunità Europea si sta muovendo da diversi anni e propone nuove direttive per cercare di limitare e possibilmente invertire i fenomeni di inquinamento e global warming.

Il provvedimento più recente e discusso riguarda i veicoli a motore, con il divieto di produrre motori a combustibile fossile a partire dal 2035.

Inoltre la Commissione Europea ha proposto che gli edifici residenziali debbano migliorare la classe di efficienza energetica, raggiungendo almeno la classe E entro il 2030 ed almeno la classe D entro il 2033. Tale misura dovrebbe essere approvata dal Parlamento Europeo a marzo di quest’anno, dopo di che sarà vincolante anche per noi.

Le due misure si iscrivono nella più ampia strategia di ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e di azzerarle entro il 2050, per la quale l’Europa si è impegnata. E non sarà per niente facile dimezzare le emissioni nei prossimi 7 anni, considerato che, nonostante gli allarmi, finora le abbiamo aumentate.

Inspiegabilmente, di fronte all’orientamento europeo la prima reazione di molti politici nostrani è stata di contrarietà.

Alcuni si sono preoccupati che il limite ai motori endotermici possa danneggiare la nostra industria automobilistica. Temono addirittura che nel provvedimento ci sia lo zampino della Cina (“Non vorrei che, dopo il Qatargate, emerga a Bruxelles un Chinagate”, ha dichiarato Salvini). Ma l’intero settore automotive è da anni consapevole di questa prospettiva e si sta adeguando; spero proprio che l’industria automobilistica ex italiana non sia da meno, ma in ogni caso nessuno ha il diritto di continuare a inquinare, da quando si conoscono bene i danni che ciò comporta. D’altronde non si capisce perché dovremmo riconoscere a un’industria la facoltà di mettere in pericolo la nostra sopravvivenza.

Altri si sono sorpresi per la direttiva europea sull’efficienza energetica degli edifici, come se essa non fosse già nota da oltre un anno. Anzi, la proposta della commissione è solo un aggiornamento, peraltro programmato, delle direttive del 2010 e 2018, cui ha contribuito anche il governo italiano.

Quasi volesse ostacolare gli obiettivi strategici di riduzione dei gas serra, il nostro governo ha sostenuto l’ENI nella politica di aumento della produzione di metano, proponendosi quale hub europeo per la sua fornitura. Cioè, in definitiva, per la produzione di gas serra: ciò che Guterres1 ha recentemente definito “una follia”. Follia che, evidentemente, non è compatibile con gli obiettivi europei – sottoscritti anche dall’Italia – di dimezzare la produzione di gas serra entro il 2030. Oltre tutto, che diritto ha l’ENI di insistere nella stessa vecchia politica industriale il cui risultato – per usare ancora le parole di Guterres – è stato di “bruciare il pianeta”?

Un discorso a parte merita il recente provvedimento del governo che ha abolito la possibilità di migliorare l’efficienza energetica degli edifici con gli sconti finora previsti. Provvedimento dettato dall’urgenza di evitare “il rischio di default” dei conti pubblici, ma assunto con sospetto tempismo dopo la consultazione elettorale.

Siamo ormai tutti d’accordo che la legge sui diversi “bonus” edilizi avesse gravi criticità ed andasse modificata. Che fosse poco valida lo dimostra una contraddizione davvero sorprendente: se da una parte, infatti, la previsione di spesa per lo Stato è salita a 110 miliardi – un’enormità, stando alle fonti governative – dall’altra l’efficientamento ha riguardato meno del 2% degli edifici. Tuttavia, in realtà, la cessione dei crediti d’imposta – su cui si basava il “superbonus” – era diventata impossibile da tempo. Già da un anno chi, come me, aveva tentato di fruire del “super bonus” edilizio si era sentito rispondere che non era più possibile fruirne, perché nessuno rilevava i crediti d’imposta.

Restava la possibilità dello sconto in fattura per provvedimenti più limitati, come installare un impianto fotovoltaico o una caldaia a basso consumo: ora anche questa possibilità è stata tolta. Se è vero che parte della spesa si può detrarre dalle tasse, è ancor più vero che sono in pochi a poterselo permettere.

Ma poi è difficile comprendere i motivi della decretazione d’urgenza e dei toni allarmati del ministro dell’economia per qualcosa che lo stesso governo aveva confermato nella sua legge finanziaria a dicembre.

Ciò premesso, non è per nulla cambiata la necessità – e l’urgenza – di ridurre le emissioni di gas serra e l’inquinamento dell’aria.

La mia impressione è che questa finalità stia molto poco a cuore alla maggioranza di destra, che si è posta il problema dei conti, ma non quello dell’ambiente, cioè della vita. Se no, una saggia via di mezzo avrebbero potuto trovarla. Per esempio scaglionando i benefici nei prossimi dieci anni, in modo da rispettare gli obiettivi europei del 2030 e del 2033; oppure stabilendo sconti differenziati in rapporto al reddito; o ancora privilegiando la sinergia con la messa in sicurezza dei fabbricati nelle zone a maggior rischio sismico. In fondo, una politica più saggia potrebbe risparmiare le ricadute negative sull’economia e sull’occupazione, oltre che dare benefici ambientali e di sicurezza. E, ovviamente, ci risparmierebbe una procedura d’infrazione, cioè altri soldi pagati dai contribuenti, in caso di non raggiungimento degli obiettivi europei sull’efficienza energetica degli edifici.

Questa mia impressione non riguarda soltanto la destra italiana. È infatti significativo che la direttiva sugli autoveicoli inquinanti sia stata approvata dal Parlamento Europeo con i voti di centrosinistra, liberali, verdi e di una parte dei popolari, mentre hanno votato contro il grosso dei popolari e le destre.

Si sta manifestando, a guardar bene, un nuovo discrimine tra destra e sinistra. Da una parte si considera l’interesse comune di tutti gli esseri umani a continuare a vivere in un ambiente alterato, sì, ma ancora compatibile con la nostra sussistenza; dall’altra si difende un interesse economico che non è generale, ma di pochissimi irresponsabili. Infatti, l’uso dei combustibili fossili non privilegia l’interesse dell’economia rispetto all’ambiente, che sarebbe già una scelta discutibile, ma almeno comprensibile. Privilegia piuttosto l’interesse illegittimo di pochissimi soggetti rispetto alla difesa non solo dell’ambiente, ma anche dell’economia nel suo complesso. Dalla difesa del capitale si è passati alla difesa di interessi che possono solo essere definiti criminosi: ecco la nuova destra europea. D’altronde, che si tratti di interessi consapevolmente illeciti e distruttivi è stato ben chiarito e, per così dire, ufficializzato dal discorso di Guterres a Davos.

E infatti, che economia potrà mai esserci quando il riscaldamento globale avrà superato i 2 o 3 gradi? Quando l’agricoltura sarà ridotta ai minimi termini e il mare avrà sommerso le coste di tutti i continenti? A che cosa serviranno i soldi in un pianeta surriscaldato e alluvionato, con insufficiente disponibilità di cibo e con l’economia in ginocchio?

Certe scelte politiche sembrano essere, in fin dei conti, suicide, perché nessuno si salverà se non si interrompe la spirale della crisi climatica. E sono scelte molto miopi, per non dire stupide. Ma, poiché neanche gli dei possono nulla contro la stupidità umana, sarà bene che noi umani ci diamo una svegliata, senza aspettare che si muovano gli dei.

Lo abbiamo già fatto una volta, come dimostra la storia del cosiddetto buco dell’ozono. Formatosi negli anni 80 a causa del diffusissimo uso di clorofluorocarburi nelle bombolette spray e nei compressori di frigo e condizionatori, è ora avviato a richiudersi grazie alla messa al bando di quei gas. Anche negli anni 80 c’erano i negazionisti, che sostenevano l’origine non antropica del fenomeno; anche allora c’erano le lobby a favore dei clorofluorocarburi; anche allora siamo stati piuttosto stupidi. Ma abbiamo rimediato, e il buco si sta chiudendo. Vuoi vedere che rimediare si può?

Cesare Pirozzi


1  Le parole del Segretario Generale dell’ONU Guterres (citate qui e più avanti) sono tratte dal suo discorso al World Economic Forum Annual Meeting di Davos 2023.

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