De Rossi, Ostia e le fake news

Daniele De Rossi, calciatore e capitano della Roma, è l’uomo più attuale del momento. Riassunto delle puntate precedenti: il centrocampista giallorosso, nella sfida di campionato contro il Genoa, ha rifilato uno schiaffo in faccia all’attaccante avversario, Gianluca Lapadula, causando il rigore del pareggio e subendo una squalifica di due giornate. Daniele De Rossi, la sua storia, il suo universo, sono elementi che si inseriscono a perfezione nel mosaico di voci, di titoli, di notizie, dalla politica al sociale, del nostro tempo.

Un ulteriore passo indietro. L’attuale capitano della Roma non è nuovo a questi comportamenti: molti ricorderanno la gomitata al centrocampista degli Stati Uniti McBride nei mondiali 2006, altri avranno in mente altri falli, per un totale di 15 cartellini rossi e 35 giornate di squalifica. Numeri che parlano da soli. Che pesano, ancora di più, se collegati alla fascia da capitano che porta sul braccio. La stessa che fu di Agostino Di Bartolomei, che ieri fu di Francesco Totti, che domani sarà di Alessandro Florenzi. Tra gli ultimi due De Rossi è l’anello di congiunzione, la diversa declinazione del termine. Totti era il fuoriclasse, il numero 10 talento e fantasia, Florenzi è l’esterno tutta corsa e dedizione, De Rossi il mediano da “anni di fatiche e botte” o forse, meglio, da “petti d’acciaio, astuzia e core”. E diverso è anche il rapporto con la città, con Roma. Totti è romano ironico, sornione, irriverente. Florenzi è il bello de nonna, il ragazzetto amico di tutti. E De Rossi? De Rossi è il romano cresciuto in strada, l’ultras in campo come lo chiamano i tifosi. Non esulta con pollici in bocca o con corse in tribuna. Esulta nell’unico modo che conosce: urlando, gonfiando la giugulare, a pugni chiusi.

È per quello che rappresenta che lo schiaffo a Lapadula è uno schiaffo che fa male ad altri. La prima cosa che ho sentito, come commento, al suo gesto è stata: “De Rossi è di Ostia come Spada, ma che t’aspetti?”. Come se da lì potessero arrivare solo botte e pugni in faccia, e non amore, passione, bellezza. Dopo il derby, Tonino Cagnucci, direttore de Il Romanista, definiva il capitano della Roma come “un contemporaneo attualissimo vaffanculo a tutti i luoghi comuni su Ostia”. Perchè De Rossi è anche quel calciatore che nella borsa, in trasferta, non mette solo le cuffie e l’ipad, ma anche un libro di Gregory David Roberts. De Rossi è quel calciatore che dopo la disfatta storica dell’Italia fuori dai Mondiali, ha trovato la forza di salire sul pullman della Svezia a chiedere scusa per i fischi durante l’inno nazionale. De Rossi è quella persona che, unica nel suo genere, ha saputo opporsi ad alcuni speaker radiofonici dell’etere romano, “maiali col microfono” e “papponi” li ha definiti.

Uno su tutti Mario Corsi, detto “Marione”. Ex NAR, indagato e poi rilasciato per la strage di Bologna, indagato e assolto per l’omicidio Zilli, accusato e poi assolto con Carminati nel processo sull’omicidio Fausto e Iaio. È lui a coniare il termine “Capitan Ceres” per De Rossi, è sempre lui a mettere in giro la voce, assurda, che il calciatore si sia lasciato crescere la barba per nascondere una cicatrice sul volto, ricordo degli amici della sua ex moglie, Tamara Pisnoli, figlia di un rapinatore vicino alla Banda della Magliana.

Ed ecco le fake news, quelle che agitano la nostra campagna elettorale. Le notizie false create appositamente, ad arte, per un fine chiaro. Marc Bloch, storico del novecento, ne aveva parlato nel suo libro “Riflessioni di uno storico sulle false notizie di guerra”, definendole come “un oggetto costruito, forgiato da una mano operaia con un determinato obiettivo, per influenzare l’opinione pubblica, per obbedire ad una parola d’ordine”. Quindi anche io sto cercando di plasmare un evento a mio piacimento, in vista magari della pubblica redenzione di un calciatore che ha dato uno schiaffo? Niente affatto. De Rossi ha sbagliato e pagherà il suo errore. Ma può anche aiutarci. Può insegnarci, ad esempio, a non fermarci all’interpretazione facile, alla voce condivisa, al luogo comune. Non essere come chi dietro uno schiaffo è convinto di vedere tutto: Ostia violenta, il ragazzo dalle cattive amicizie, Roma coatta. Chi dietro un politico corrotto urla che cento sono ladri, chi dopo un uno straniero che ruba vorrebbe ammazzarne altri mille. Chi è convinto di vedere tutto e invece non vede niente. Perché De Rossi ha sbagliato e non esistono giustificazioni. Ma ci insegna che, forse, è meglio non fermarsi alle apparenze.

di Lamberto Rinaldi

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