Il pericolo incombe sulle università UK: opportunità per le accademie d’Europa?

Tra le innumerevoli incertezze che incombono sul Regno Unito prossimo all’uscita dall’Unione Europea dopo il voto sulla Brexit dello scorso anno, c’è quella del futuro delle università. Non è solamente il numero degli studenti europei ed internazionali in diminuzione a spaventare, né le sole problematiche relative ai fondi europei per la ricerca che verrebbero a mancare, quanto il pericolo di perdere quello che definisce le università britanniche a livello mondiale e ne perpetua l’egemonica presenza nelle league table internazionali: le menti straniere, in particolare quelle europee. E’ infatti ancora un buco nero di incertezza il futuro di tutti gli accademici europei che non hanno ancora ottenuto il permesso a risiedere nel territorio a tempo indeterminato, ottenibile dopo 5 anni di residenza nel Regno Unito. Il governo, nonostante le promesse di fronte alla crescente preoccupazione di tutte le università del Paese, non ha ancora chiarito quale sarà il futuro degli accademici europei.

Alcuni hanno già fatto le valigie, ma la maggior parte sta ancora aspettando, sebbene si stia guardando attentamente intorno soppesando le alternative. Le università hanno nuovamente lanciato l’allarme nella seconda metà di novembre, chiedendo certezze al più presto e mettendo nero su bianco che moltissimi accademici prenderanno decisioni drastiche se entro la fine dell’anno non ci saranno state risposte.

Gli effetti sul sistema sarebbero tragici, come spiega più dettagliatamente il rapporto “Brexit means…?” (“Brexit significa…?”) della British Academy, l’accademia nazionale per le discipline umanistiche e le scienze sociali. Le materie più colpite sarebbero economia, con 36% degli accademici provenienti dall’Unione Europea, e lingue moderne, 35%. A seguire matematica, 29%, fisica, 28%, studi classici e ingegneria chimica, 26%, scienze politiche e relazioni internazionali, 25%. Le alternative infatti non scarseggiano, con le università dei Paesi di origine e degli Stati europei che si sfregano le mani all’idea di sfilare talenti al Regno Unito.

Questa per le università europee è sicuramente una grande opportunità, mentre sugli effetti positivi e negativi sull’accademia e il mondo della ricerca in generale ci sarebbe da riflettere un po’ di più. L’idea di distribuire sul continente le risorse (europee) del Regno Unito, andando a rafforzare poli già esistenti, sviluppandone di nuovi e creando nuove reti di scambio di idee grazie ad ex-colleghi spostatisi in università sul continente sembra una prospettiva allettante per sviluppare un senso di università europea che vada oltre Bologna (nonostante si cominci adesso a parlare di un ipotetico processo di Bologna 2.0 che integri ancora di più i sistemi universitari europei). Allo stesso tempo c’è chi sostiene che sia importante mantenere grandi istituzioni dove la comunità di ricerca di una specifica disciplina possa ritrovarsi e dove le idee si possano incontrare quotidianamente. La crisi delle università britanniche non vuol dire che le risorse non andranno a concentrarsi in alcuni specifici poli europei, e non solo, in questo modo perpetuando e amplificando la concentrazione di risorse in una manciata di istituzioni per disciplina. Tutto dipende da che strategie le università europee decideranno di attuare a fronte delle opportunità che ritengono effettivamente valide. Sarà interessante osservare se anche le istituzioni “minori” decideranno di prendere parte all’asta e come si muoveranno per risultare delle candidate appetibili per gli europei di ritorno da oltre la Manica. Coloro a cui alletta l’idea di un’università e di una ricerca più diffusa sull’intero territorio europeo e la possibilità di rivitalizzare e dare nuovo slancio alle università europee sicuramente continueranno a guardare con interesse e speranza a questo fermento che, data la lentezza del governo inglese nel fare chiarezza, si appresta quasi certamente ad iniziare.

di Giulia Montefiore

Print Friendly, PDF & Email