L’oltre orizzonte africano
Una delle versioni della frase – ormai idiomatica – “Aiutiamoli a casa loro” è “Non dargli il pesce ma la canna da pesca”. A dire il vero, però, i primi rudimentali arnesi per pescare apparsi sulla faccia della Terra risalgono a novantamila anni fa e sono stati ritrovanti in Congo. Sono in osso, come le punte di freccia per la caccia, anche se queste hanno anche una versione in pietra. Sulle sponde del fiume Omo, a Kibish, in Etiopia, sono stati ritrovati i resti del primo Homo Sapiens, risalenti a 195.000 anni fa. In Europa resti simili risalgono solo a 30.000 anni fa. Secondo le teorie paleo-antropologiche chiamate “Out of Africa I” ed “Out of Africa II”, l’umanità ha origine e si dirama nel resto del pianeta dal continente nero. Eppure oggi l’Europa è chiamata “il vecchio continente”. Vecchio rispetto all’America, ossia alla storia occidentale, non a quella geologica e antropologica della Terra.
Ci sbagliamo se pensiamo che un’origine costituisca un punto fisso ics sepolto nella notte dei tempi di un passato immemorabile. Un’origine, in realtà, continua a essere sempre attiva, a scorrere viva anche se invisibile e silenziosa sotto la pelle, il sottosuolo geologico, storico, antropologico del presente, pronta a riprendere una sua forma particolare nel futuro. Secondo il World Population Prospect delle Nazione Unite a luglio 2017 la popolazione mondiale è di 7,6 miliardi. Ma vediamo anche i tassi di natalità oggi. Una recente ricerca pubblicata dall’Institut National d’Etudes Demographic (Ide), di Parigi. Riferisce questi dati statistici: 7 figli per donna in Niger, di 6,4 in Somalia, di 6,1 nella Repubblica democratica del Congo, di 5,8 in Burkina Faso, di 5,7 in Nigeria, 5,3 in Etiopia. Confrontiamoli con quello di altri paesi e continenti. In India il numero di figli per donna è 2,6, negli Stati Uniti 2 e nell’Unione Europea 1,6. A livello planetario la media è di 2,5. È proprio proiettando in avanti questo tasso di crescita – ammontante a 83 MLN di persone in più all’anno in tutto il mondo – che le Nazione Unite prevedono una popolazione planetaria di 8,6 MLD nel 2030, 9,8 MLD nel 2050, 11,2 MLD entro il 2100. Nel 2050 gli africani saranno 2 miliardi e mezzo e nel 2100 4 miliardi e mezzo, poco meno della metà della popolazione planetaria complessiva. La sola Nigeria arriverà dagli attuali circa 130 milioni a 400 milioni, superando gli Usa e diventando il terzo paese più popolato al mondo dopo Cina e India. A questo dato critico se ne aggiunge un altro decisivo: l’età media. Oggi n Africa il 60% della popolazione va dai 0 ai 24 anni, mentre in Europa tale fascia non tocca neanche il 25%. L’Italia – e i dati sono proprio di questi ultimi giorni – è il paese più vecchio al mondo e con tassi di natalità in diminuzione anno dopo anno. L’Africa resta colpita da flagelli sanitari come l’Aids, carestie, ecc., e un tasso di decrescita è previsto proprio intorno al 2030: purtuttavia sarà il paese con il maggior incremento demografico per tutto il secolo in corso.
Il report delle Nazione Unite indica una tendenza, dato che gli studi in questo campo devono tenere conto di una complessa rete di fattori anche sensibilmente variabili, che qui non abbiamo potuto riportare nella loro interezza. È una tendenza, però, che descrive non solo le future, inarrestabili traiettorie e consistenze migratorie, ma – a vedere bene – soprattutto quelle sociali, economiche, energetiche, tecnologiche.
Con una popolazione di oltre 11 miliardi di abitanti, l’intero pianeta sarà posto di fronte a sfide di una dimensione imparagonabile con tutta la precedente storia dell’umanità, da quel suo primo apparire nell’Africa subsahariana duecentomila anni fa. È proprio come nell’incipit del film di Stanley Kubrik del 1968, Odissea nello spazio: dal lancio che fa un primo ominide di un osso in aria si passa in un battere di ciglia di eternità a un super tecnologizzato oggetto rotante nello spazio. Quel primordiale osso fu strumento di sostentamento, di caccia, di pesca, ma anche arma di attacco, di offesa, su una frontiera di scontro con altri gruppi di scimmie che segnava anche la linea cruciale della successiva evoluzione biologico-antropologica. Il nostro tempo presente è dominato – e lo sarà sempre di più nel futuro – da quel super strumento tecno-scientifico, elettronico-digitale che rotea ormai nello spazio sempre più ravvicinato della nostra pelle e delle nostre dita. La primigenia soglia africana del passaggio dalla scimmia all’ominide, è implicita nel Così parlò Zarathustra (1885) di Friedrich Nietzsche come l’ulteriore, necessario passaggio dal Mensch, dall’Uomo, all’Übermensch, ossia all’Oltreuomo. Ma in gioco, ormai – sulla soglia del ritorno africano al futuro – è la stessa sopravvivenza del cielo sul pianeta Terra. Del cielo sopra l’orizzonte nascosto e sepolto nel sottosuolo della nostra coscienza e civiltà: la violenza strutturale come forma di dominio, trasformazione, sfruttamento di ogni essere e oggetto già al suo primordiale apparire nel mondo. Questo dominio mette a rischio la possibilità di qualsiasi altro sviluppo, perché mette a rischio la sopravvivenza stessa della Terra. Così che non l’Oltreuomo, ma l’Oltre Orizzonte è la dimensione più autentica verso cui dovremmo dirigerci percorrendo i cunicoli celesti del sottosuolo.
di Riccardo Tavani