“Fondo Fucile non finirà perché è un pozzo di voti”. Quanto fruttano ancora povertà e miseria nelle campagne elettorali siciliane?

Fondo Fucile, Fondo Saccà, rione Taormina, via Santa Silvia e via Carobonaro a Camaro S.Paolo sono le cinque baraccopoli di Messina. Nate come soluzioni abitative di emergenza dopo il terremoto del 28 dicembre 1908 che distrusse le sponde del capoluogo siciliano fino a Reggio Calabria, non sono mai state sostituite con abitazioni vere come promesso. Migliaia furono le vittime nella prima “catastrofe sismica” che il giovane stato italiano si trovò ad affrontare. Oggi, nel 2017, quelle baracche sono ancora lì.

Solo a Fondo Fucile vivono oltre 1200 famiglie, in una distesa di 5.000 mq di amianto, in abitazioni precarie, ricoperte di muffa e tutte fin troppo vicine come sconsiglierebbe qualsiasi piano urbanistico, se solo ce ne fosse uno. Quando muore qualcuno bisogna avvolgere il corpo in lenzuoli bianchi e solo dopo essere uscito dalla “favelas siciliana” è possibile dargli una degna sepoltura: le vie sono strette al punto che una bara non ci passa. Non solo eternit, Fondo Fucile è una vera discarica a cielo aperto, un luogo dove chiunque si sente autorizzato a buttare rifiuti, ingombranti e troppo spesso altamente inquinanti. “La vecchiaia qui arriva prima del previsto con tutto quello che respiriamo da quando siamo ‘picciriddi’”, commenta un uomo intervistato da “Nemo”, la trasmissione di Rai2 che ha raccontato questa ennesima onta italiana. “Mafia non ce n’è qui” racconta un altro intervistato. La zona è malfamata al punto che neanche le organizzazioni criminali trovano linfa vitale a cui attingere. “Chi ruba lo fa solo per fame” conclude l’uomo. Eppure una donna racconta come il meccanismo dello scambio di voti prenda vita in queste zone: “Mi avevano promesso la spesa per 9 mesi e un lavoro per mio figlio. Ho accettato perché mio marito è disoccupato. Alla fine lo scambio neanche c’è stato”.

Da poco sono trascorse le elezioni regionali in Sicilia, concluse con la “discesa in campo” di un nuovo pupillo del centrodestra ed eseguite con i consueti metodi nostrani: chiusura delle urne in serata, schede a riposare tutte la notte, manco fossero a base di pizza, e scrutini il giorno dopo. Nello Musumeci è stato eletto nuovo governatore della Sicilia con il 39,4%, pari a 830.821 voti: “Sarò il presidente di tutti” ha detto subito dopo la vittoria. Eppure a Fondo Fucile c’è chi giura che non li aiuteranno mai perché “loro non sono nessuno”. Il servizio Rai ha scosso delle coscienze che hanno fatto presente a Musumeci il vecchio problema: il novello governatore ha cinque anni davanti a sé per occuparsene. Speriamo non faccia anche lui l’ennesima “sfilata”: l’allora premier Romano Prodi – raccontano gli abitanti di Fondo Fucile – andò, sotto il segno dell’Ulivo, tra le vie della baraccopoli per poi non dar seguito proprio a niente. Mentre “Nemo” riprendeva quella realtà si aggirava per le vie distribuendo “santini elettorali” il capogruppo di Forza Italia, Pippo Trischitta. La politica quindi è presente a modo suo: come Prodi, andarono a vedere l’ex sindaco di Messina, Francantonio Genovese, e l’ex presidente della Regione Sicilia, Rino Nicolosi. Quest’ultimo in particolare è stato autore delle Legge 10/1990 che “allo scopo di consentire il completamento del risanamento delle zone del territorio di Messina” stanziava ben 500.000 milioni per il comune e 100.000 milioni per la Regione. Se tante famiglie vivono ancora oggi in condizioni di estrema povertà è lecito domandarsi che fine abbiamo fatto quei soldi.

“Non si aggirano tra le rovine se non fossori. E i fossori sono militi, come dopo una battaglia”. Con queste parole, nel gennaio 1909, Giovanni Pascoli commentava il terremoto messinese e le cose oggi, dopo oltre un secolo, non sembrano essere cambiate troppo.

di Irene Tinero