Quando la violenza è doppia: in ricordo di Felicia Castaniere

Giustificare una violenza è impossibile, sempre. E pur nella banalità di un’azione violenta come quella di una rapina, è immediato provare disgusto se la vittima di tale “banalità” (soltanto per la frequenza con cui si leggono notizie del genere) è una persona disabile. Felicia Castaniere, nel 2009, era una donna di quasi cinquant’anni che viveva a Casandrino, nel napoletano. Conosciuta molto nel paese e soprattutto tra le associazioni umanitarie del luogo per il suo sostegno alle persone disabili. Disabile era però Felicia stessa, costretta dalla nascita a vivere su una sedia a rotelle a causa di una insufficienza respiratoria. Sapere che questo non le impediva, però, di adoperarsi perché i disabili attorno a lei potessero sentirsi innanzitutto persone, impegnandosi perché, ad esempio, prendessero parte alle iniziative promosse dal Comune per le festività, dice molto su come Felicia vivesse la sua disabilità: di fatto, come un incentivo e non un blocco, come uno svantaggio.

La mattina del 25 gennaio 2009, la sua condizione diventa la sua sfortuna, o forse no: la violenza non ha cause o giustificazioni, e soprattutto non ha occhi e non prova pietà e rispetto. All’uscita dell’ufficio postale di Casandrino, dove aveva appena prelevato soldi della sua pensione di invalidità, viene inseguita da due persone a volto coperto a bordo di una moto. Il tentativo di salvarsi, Felicia lo fa: ma questa volta la carrozzina non la aiuta. Raggiunta, picchiata selvaggiamente e rapinata dai due malviventi, viene lasciata in strada a contorcersi sulla sua carrozzina. In preda sicuramente allo spavento, Felicia rimane in breve tempo vittima di una crisi respiratoria che non dà il tempo ai mezzi di soccorso di aiutarla.

di Giusy Patera

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