La pace in noi, fra noi, nel mondo
È la prima volta dopo dieci anni che scrivo un post su Italia solidale.
Il piccolo incontro di ieri, in una casa romana, è stato talmente intenso per me da non poter tenermelo dentro.
Avete presente la classica barzelletta “c’erano un milanese, un romano e un napoletano”?
Ecco, in Kenya, o per chiunque conosca almeno un minimo la storia di quel paese, una barzelletta che iniziasse dicendo: “c’erano un Kikuyu e un Kalenjin” non farebbe ridere nessuno, anzi, ghiaccerebbe il sangue nelle vene.
Sono le due tribù più potenti del Kenya, e almeno a partire dai primi anni 90 sono in guerra fratricida tra loro, con tre picchi, nel 92, 2007 e 2013, che hanno rischiato di scatenare una guerra civile.
Ieri, a casa di Paolo, un Colonello dell’esercito italiano che da anni aiuta mia madre nella sua missione in Colombia con un’umiltà disarmante, c’erano sul serio un Kikuyu e due Kalenjin, e ci hanno raccontato, con semplicità, come le loro storie di pacificazione profonda personale, li ha portati ad essere operatori di pace nel loro paese, con risultati sorprendenti.
Alfred, Faith, Stephen, insieme, hanno collaborato con Italia Solidale a fondare la missione di Kipkelion, nel nord del Kenya, dove hanno fortemente voluto accogliere, nelle stesse comunità, sia Kikuyu che Kalenjin.
Alfred, che conosco dal 2013, ha raccontato di come ha lasciato il suo lavoro ben retribuito in una multinazionale che lo portava a stare 14 ore al giorno fuori casa dimenticandosi di sé, dei figli, della moglie, e di come ha messo a frutto la sua competenza e le sue capacità per collaborare a costruire un “Capannone” dove Kikuyu e Kalenjin si incontrano e scambiano i frutti del loro lavoro.
Scambiano i prodotti tradizionali delle loro tribù, come il “Ghitheri” per i Kikuyu: un segno ancestrale potentissimo che, come spiegavano già i vecchi antropologi, scambiando il cibo vuole significare la completezza della pace: sediamo alla stessa tavola, siamo lo stesso sangue.
Faith, la moglie di Alfred, si è aperta e ha parlato dei suoi problemi legati anche a forti attacchi d’ansia.
Quello che ha detto mi ha spaccato il cuore, paccato il cuore, per tante ragioni.
Gli ho preso la mano, e gli ho detto che sono felice in questo momento, ma che lei ha parlato di demoni che sono uguali a quelli che vivo io.
Sto pian piano capendo che, più che sui contribuiti economici, pur importanti, i “gemellaggi” di Italia Solidale si basano proprio su queste intense, profonde, inconsce connessioni e fratellanze potentissime, che non ci fanno sentire più soli, e che nelle nostre ferite fanno apparire il Volto stupefacente e luminoso di Dio.
Chi soffre d’ansia non ha bisogno di nessuna parola, basta uno sguardo per dirsi tutto e per trovarsi fratelli nell’aver avuto a che fare con quel demone tanto mostruoso e micidiale.
Ieri ho preso la mano di questa donna, l’ho guardata negli occhi, l’ho ringraziata e i suoi occhi si sono leggermente velati di lacrime:
“Sì, ci sono passata, sì capisco perfettamente quello che vuoi dire, sì ne usciremo insieme”.
Italia Solidale, questa piccola-grande splendida realtà, fondata dal mio primo e fondamentale padre spirituale, P. Angelo Benolli, e da altre persone tra cui mia madre, mi accoglie di nuovo tra le sue braccia direi in modo completo dopo l’incontro di ieri, sono contento di essere tornato, tornato a dare il mio contributo a una realtà che combatte dalla parte giusta della luna, che nella notte atroce che stiamo attraversando come umanità lavora ogni giorno per far splendere con umiltà una concreta Luce di speranza.
Ho il cuore pesante, il cuore pesante, ultimamente. Nelle profondità di lacrime che non trattengo e mi concedo, cerco di mantenere fisso lo sguardo dell’Anima su strade che spalancano le porte per l’aurora che deve venire.
Viene l’Aurora.
Se io dovessi riassumere il significato della mia intera vita con due parole, direi che sono qui per testimoniare con umiltà questa certezza:
Viene l’Aurora.
Sono contento per essere con Italia Solidale.
È coerente con questa mia vocazione.
Amen.
Giacomo Fagiolini