La fortuna è una questione di geografia. E il sud Italia lo sa bene.

Nascere, crescere, vivere a Milano piuttosto che a Ragusa o Napoli ha un peso differente e paradossalmente espone a rischi molto diversi. Anche nel 2018. E’ ormai un dato di fatto che le mafie hanno conquistato l’intero Paese, ma al di sopra di una certa latitudine investono e nascondono rifiuti chimici, mentre al di sotto spacciano, sparano e vivono di lotte tra clan.

E’ normale morire in strada, uccisa dai colpi vaganti di una pistola, all’età di 84 anni? Si, se hai dedicato la tua vita alla criminalità organizzata. No, se sei un’anziana che sta andando dalla chiesa del paese a casa di un’amica. Anna Rosa Tarantino era una brava persona e sfortunatamente rispondeva alla seconda ipotesi.

E’ il 30 dicembre, siamo a Bitonto, provincia di Bari, Puglia. Alle 8 e mezzo del mattino Anna Rosa muore, uccisa da 17 colpi di pistola. “Ironia” della sorte la donna perde la vita in via “le Martiri”. L’ipotesi degli inquirenti è che la signora Tarantino sia stata usata come scudo umano. Da chi? Da quello che si presume essere il vero bersaglio: Giuseppe Casadibari, 20 anni, già noto alle forze dell’ordine per precedenti nello spaccio e sospettato di essere un affiliato del clan Cipriano. “Ero di spalle, al telefono e ho pensato fossero botti di capodanno”, riferisce il giovane Casadibari. Nessuno a Bitonto ha visto o sentito nulla. E di certo contro l’omertà nostrana non può essere usata la tecnologia: il punto della sparatoria non è coperto da telecamere. Anche se casi, come quello del banchiere David Rossi, insegnano che spesso neanche questo ausilio serve. Ma questa è un’altra storia.

Se una donna che muore in questo modo non è abbastanza, il quadro si svela ancora più inquietante se si pensa che alle 8 e un quarto dello stesso mattino altri colpi sono stati sparati in via Pertini, davanti la casa del boss Conte. Questa volta a morire è il cane dell’uomo, Rocky. Meno di un’ora prima, intorno alle 7 e 30, presso l’arco di S. Andrea altri colpi tagliano l’aria, senza ferire o peggio uccidere nessuno. Tutto sa di avvertimento, la mafia intende ribadire la propria presenza sul territorio, il quadro è quello di una guerra tra clan, scatenata forse dal controllo delle piazze di spaccio.

Ora immaginate la signora Anna Rosa, da buona donna del Sud, quando il 24 dicembre ha sentito la notizia del 14enne nel casertano, finito in coma farmacologico dopo essere stato raggiunto da un proiettile volante. Avrà pensato a uno dei suoi nipoti e si sarà portata una mano alla testa in segno di sconcerto. D’altronde non è possibile provare sentimento differente se si pensa che questo ragazzo di Parete (CE) è in coma perché qualcuno stava provando una pistola e ha pensato bene di sparare più colpi in aria, senza il minimo scrupolo. In questo caso le telecamere ci sono, ma inquadrano solo il giovane che si accascia a terra e non è possibile determinare la direzione del proiettile. A soccorrere il ragazzo sono stati degli anziani vicini al Bar Centrale, dove è accaduto l’episodio: le persone accorse in aiuto hanno provveduto subito a chiamare il 118, senza ricevere però alcuna risposta. Fortuna che i carabinieri sono stati più tempestivi. Vista la gravità della situazione il giovane è stato portato prima all’ospedale di Aversa e poi trasferito in quello di Caserta.

Il quadro che delineano questi due episodi è da un lato sconcertante, dall’altro sconfortante. Tutto sembra come ruotare dietro il destino di un Paese perennemente diviso in due, in cui la vita ha un peso diverso a seconda della regione che si abita. Forse però attribuire la colpa al destino, piuttosto che alla non lotta alle mafie è fin troppo riduttivo e solleva troppe persone e istituzioni da responsabilità che invece dovrebbero assumersi.

di Irene Tirnero

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