Elezioni in Brasile. La sfida tra Bolsonaro e Haddad può cambiare radicalmente la nazione

Dopo la vittoria al primo turno delle elezioni presidenziali di Jair Bolsonaro, candidato del Partito social-liberale (U.S.PSL), i brasiliani sono chiamati ad una decisione fondamentale per la storia del loro Paese. Nel secondo turno, previsto per prossimo 28 ottobre, si troveranno a dover scegliere non tra due diverse opzioni politiche, entrambe democratiche, ma tra un candidato che aderisce e rispetta le regole della democrazia e uno che, al contrario, è un convinto estimatore della dittatura militare. Bolsonaro, ex capitano dell’esercito, respinge esplicitamente il sistema di libertà perché lo ritiene inadatto a risolvere i problemi che affliggono il paese. Inoltre, l’esponente dell’estrema destra brasiliana sostiene posizioni apertamente xenofobe, razziste e omofobiche. Le sue proposte economiche sono quelle classicamente neoliberiste: privatizzazioni, tagli a salari e pensioni, stato sociale ridotto ai minimi termini. L’indirizzo in politica estera prevede il totale allineamento di Brasilia alla volontà di Washington.
Lo sfidante, Fernando Haddad del Partito dei lavoratori (PT) è passato al secondo turno raccogliendo il 29,3% dei voti. Il suo programma economico, di stampo decisamente keynesiano, si propone di far ripartire i consumi, e di generare occupazione e ricchezza, attraverso imponenti investimenti pubblici nella costruzione di opere e infrastrutture. In politica estera, Haddad sostiene il ritorno a politiche che favoriscono la multipolarità e l’integrazione regionale. Quei rapporti di cooperazione Sud-Sud che, sotto i governi Lula e Roussef, avevano fatto del Brasile un paese leader della diplomazia multilaterale.
Il divario con il quale i due contendenti si presentano al secondo turno è ampio ma non incolmabile se, vista la posta in palio, gli elettori di ogni tendenza politica democratica sceglieranno Haddad come il loro candidato. Un candidato che supera i confini del PT, per diventare il candidato di tutti i democratici.
Non esiste alcun dubbio, infatti, che quello dell’ex presidente Lula è un partito democratico: dall’opposizione ha sempre rispettato le regole del gioco, quando ha vinto (ben quattro elezioni presidenziali) lo ha fatto correttamente e anche quando – con una procedura illegittima – la presidente Dilma Rousseff è stata estromessa, è stato capace di riconsegnare il potere nel rispetto della legge e delle Istituzioni. I governi guidati dal PT hanno fatto del Brasile una delle maggiori democrazie progressiste del pianeta.
Dall’altra parte, il deputato Bolsonaro si propone di riformare la Costituzione in modo illegale, disprezza la popolazione di discendenza africana, vuole attribuire all’Esercito un ruolo preponderante e concedere carta bianca alla polizia.
Se, come ci auguriamo, il popolo brasiliano saprà sventare questa minaccia non potrà, comunque, fare a meno di interrogarsi sul perché ampi settori della popolazione brasiliana possano aver visto in questo inquietante militare la soluzione alla crisi istituzionale ed economica che affligge il paese.

di Enrico Ceci

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