Un calcio alla legalità
Quando il calcio sembrava essere tornato pulito, spunta la camorra
Al peggio non c’è mai fine. Ancora una volta lui, il calcioscommesse, a far da sfondo allo sport più bello del mondo, che forse da qualche anno a questa parte fatica a restar tale. Adesso poi c’è un aggravante: la mano della camorra e i presunti legami con alcuni calciatori, all’epoca dei fatti (campionato di Serie B 2013/2014) in forza all’Avellino: Armando Izzo (che ora milita nel Genoa), Francesco Millesi (attualmente all’Acireale) e Luca Pini (ex giocatore).
«Non lasciare il calcio, ci servi lì, devi creare contatti», è il consiglio che gli affiliati al clan “Vanella Grassi” avrebbero dato a Izzo, difensore originario di Scampia che a un certo punto della sua giovane carriera voleva appendere gli scarpini al chiodo. Costui avrebbe però desistito dalla drastica decisione e contribuito piuttosto ad allargare il giro losco, coinvolgendo l’allora compagno di squadra Pini e, successivamente tramite questo, anche Millesi.
Come riporta il Corriere dello Sport, sono due le gare per le quali la Dda (Direzione distrettuale antimafia) di Napoli ipotizza il reato di frode sportiva; la prima è Modena-Avellino del 17 marzo 2014, la seconda è Avellino-Reggina del 25 maggio dello stesso anno. Secondo gli inquirenti, Antonio e Umberto Accurso (entrambi ritenuti esponenti del clan camorristico) avrebbero promesso a Millesi 200.000 euro (salvo poi consegnargliene materialmente 30.000) attraverso l’intermediario Pini. Millesi avrebbe a sua volta utilizzato tale somma per corrompere altri giocatori; in particolare, avrebbe convinto il difensore irpino Maurizio Peccarisi a favorire la rete del Modena contro l’Avellino.
Sulla partita in questione gli Accurso avrebbero scommesso 400.000 euro, guadagnandone 60.000. Per quanto riguarda invece l’altra partita Avellino-Reggina, Antonio Accurso è accusato di aver offerto 50.000 euro, consegnati sempre attraverso Luca Pini a Millesi, che li avrebbe utilizzati per corrompere giocatori della Reggina non identificati e favorire la vittoria degli irpini, sulla quale lo stesso Accurso aveva scommesso 400.000 euro, guadagnandone 110.000.
Temendo (a buona ragione) eventuali intercettazioni, le parti in causa camuffavano opportunamente i messaggi descrivendole come compravendite di orologi, che Pini poteva giustificare in quanto la sua famiglia possiede una gioielleria. Questo è quanto finora è trapelato dalle dichiarazioni del pentito Antonio Accurso, da cui però Izzo ha preso le distanze negando di essere coinvolto nell’intera faccenda. A perderci, in ogni caso, è ancora una volta il calcio.
di Massimo Salvo