Le Saman che siamo state, le Saman che non saremo

Saman Abbas, nei suoi 18 anni più italiani che pachistani, dorme per nascosta sotto l’arco stellato del cielo, sotto il lume tiepido e molle della luna, sotto la terra calda e grassa della pianura padana e forse sogna un sogno che potrebbe in eterno suonare così:

“Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”.

Uccisa da uno zio per ordine dei genitori per aver rifiutato il matrimonio forzato con un cugino, Sama non ha accettato di essere “scambiata” per contratto, come una merce, di essere destinata a vivere il resto dei suoi giorni con un uomo scelto da altri per lei. Saman avrebbe voluto essere occidentale e potersi far scegliere dall’amore. Il suo rifiuto al matrimonio combinato dalla famiglia pachistana ha così rotto un patto d’onore. Noi sappiamo che un patto stipulato sulla pelle di una bambina non ha valore, e si può rompere come si rompe un frigorifero, un modem, o una serratura. Che poi viene il tecnico e l’aggiusta, magari per poche lire. Il patto d’onore della famiglia di Saman, invece, una volta rotto, ha avuto come prezzo  per la riparazione la violenza peggiore, il sacrificio della vergine. La morte di Saman, nella civilissima Italia, ha avuto la forza mediatica di un cataclisma morale, eppure la nostra nazione ha convissuto serenamente fino al 1981 con il patto d’onore che, una volta infranto, si aggiustava esclusivamente con il matrimonio “riparatore”. Un orrore cancellato solo 40 anni fa.

La prima donna a dire pubblicamente “no” al matrimonio riparatore è stata la diciassettenne siciliana Franca Viola.

Nella Sicilia del1965 Franca Viola ha 15 anni, vive ad Alcamo ed è fidanzata, previo accordo tra famiglie, con Filippo Melodia, anche lui di Alcamo. Melodia, però, viene arrestato per furto e si rivela un mafioso. Il fidanzamento finisce, Melodia emigra in Germania e sembra solo un brutto ricordo. Dopo due anni il mafioso rientra ad Alcamo e pretende di riprendersi Franca, ma sia lei che suo Bernardo si oppongono.

Il patto si è rotto, Melodia minaccia, distrugge le terre della famiglia di Franca, brucia il loro casolare. Inutilmente. II 26 dicembre 1965, con 12 uomini armati, rapisce Franca e il fratellino di 8 anni, picchia la loro madre e distrugge la casa.

La sera la banda rilascia il bambino, ma tiene in ostaggio la ragazza per una settimana, senza darle da mangiare. Melodia la insulta, la picchia e la stupra.

E’ il primo gennaio del ’66. Melodia chiede il matrimonio riparatore, previsto dall’articolo 544 del codice penale:

“Per i delitti preceduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”. La legge italiana nel 1966 ancora dice che, se Franca sposasse il suo violentatore, il reato si estinguerebbe e non ci sarebbe processo né per sequestro di persona, né per violenza carnale, né per Melodia né per i suoi complici. In più, il matrimonio “preserverebbe” Franca dalle conseguenze di una logica antica e patriarcale. Una ragazza già promessa, non più illibata, chi la vorrà più?

La famiglia Viola invece avvisa la polizia che, in poche ore, libera Franca dopo 8 giorni di sequestro, arrestando Melodia e i suoi complici.

Franca non accetta le nozze riparatrici, testimonia a processo contro Melodia e si difende dalla facile e falsa accusa di un rapporto consenziente. Il giudice condanna a 11 anni di prigione Melodia e ad altre pene i suoi complici.

“C’era la paura che dopo il rapimento e la violenza fossi disonorata e quindi destinata a rimanere zitella per tutta la vita. Ma non me ne importava niente, avrei preferito mille volte vivere da nubile a casa dei miei genitori piuttosto che sposare un uomo che mi ispirava brutti sentimenti.

Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”.

Un anno dopo il processo Franca si sposa l’amico d’infanzia Giuseppe in un matrimonio d’amore.

Il coraggio di Franca Viola e della sua famiglia hanno contribuito ad aprire la discussione sui diritti della donna rispetto al matrimonio, sulle violenze protette dalla cultura patriarcale, su una legge barbara. Nel 1981 l’Italia ha infine abrogato il “matrimonio riparatore”.

Solo l’8 marzo del 2014 viene pubblicamente suggellato il valore civile della scelta coraggiosa di Franca Viola, che quel giorno, al Quirinale, viene insignita di una importantissima onorificenza dal presidente emerito Giorgio Napolitano, per il coraggioso gesto da lei compiuto.

Dirà Franca: “Ho fatto la cosa più normale del mondo. Rifiutare di sposare un uomo che non amavo. Le sembra così eroico?”

Si, sembra eroico. E se il sacrificio di Saman ci appare oggi così feroce, disumano e ormai per noi inconcepibile, lo dobbiamo anche a Franca Viola, a quel suo gesto così rivoluzionario nella sua normalità.

di Daniela Baroncini

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