A te, Aragona, teatro delle mie grida ignorate e inascoltate

L’hanno chiamata Luce, un nome di fantasia, la bambina di Aragona che ad 11 anni, ora ne ha 15, fu violentata a turno da quattro persone di età compresa tra i 24 e i 60 anni, oggi a processo.
Luce ha scritto una lettera che L’Assessore alle Pari Opportunità Stefania Di Giacomo Pepe ha deciso di rendere pubblica per aiutare le vittime di violenza e pedofilia, per abbattere quel muro di omertà che è violenza doppia, altra forma di stupro e strappi dell’anima.

La lettera di Luce comincia così: “A te, Aragona, teatro delle mie grida ignorate e inascoltate”.
Sono urla contro chi ha preferito il silenzio inneggiando l’omertà, contro chi non l’ha aiutata facendo finta di non sapere, per tutti coloro che non le hanno creduto, giudicandola, offendendola, abbandonandola, deridendola.
Uno stupro che è così continuato in ogni sguardo di finti amici e professori, in ogni straziante frase giudicante che dava la forza ai suoi aguzzini di ridere e prendersi gioco di lei, forti di quelle mura di acciaio costruite con complicità e reticenza.
Non è difficile chiudere gli occhi e diventare Luce. Immaginare cosa abbia provato, sentito, subito, tollerato.

L’inganno di chi ha sfruttato inizialmente la sua ingenuità di bambina, sentirsi poi intrappolata in una gabbia di mani e forti braccia a tenerla ferma, a strapparle i vestiti e i sogni, a fermare le grida, a vederla piangere e cercare disperatamente di dileguarsi da quel “gioco” che non conosceva, da una violenza che non le apparteneva, da una cattiveria a cui era estranea… e sapere in quel preciso istante di essere già morta dentro, sentire lacerazioni di un cuore in preda al panico, un respiro affannoso e a tratti perso, aria che manca, ossigeno troppo lontano per ridarle l’illusione di tornare alla vita, terrore che aumenta e acuisce quel senso di impotenza, energia che perde e poi… poi… ancora quella certezza di essere già morta, dentro e fuori. E non sentire più niente quando “loro” se ne vanno.

Fingere di non sentire più nulla. Immaginare per un attimo che nulla sia successo. Il potere della mente per proteggersi da sola, per resettare il dolore ingannando inconsapevolmente se stessa, per un solo istante o per sempre. Essere certa di non provare e sorprendersi ad essere davvero anestetizzata dentro, fino all’ultimo brivido che non è più paura, che non è più terrore, né angoscia o sgomento, che non è più niente perché non ci sono più parole per descriverlo. E per descriversi. Perché ciò che non ha un nome… non esiste.

Stefania Lastoria

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