Su Ignazio di Antiochia

Ignazio, vescovo di Antiochia, martire. Una figura straordinaria, indelebile, luminosa.

Discepolo diretto degli apostoli, punto di riferimento fondamentale per la chiesa all’inizio del II secolo, Ignazio ci fa veramente capire qual era la prima esperienza vissuta dai primi seguaci di Gesù.

Ci fa capire che il Cristianesimo non era una religione che ingabbiava le coscienze, ma una spiritualità che liberava il cuore; che la fede non era dogmatizzata e ridotta alla piccolezza della ragione umana, ma vissuta, sperimentata in un Silenzio che trasuda una forza e una potenza sconcertanti.

Ignazio è una Fiaccola Ardente di Silenzio e Fuoco, egli è per noi un segno, ci indica la Via, la strada che dobbiamo ritrovare come Chiesa, fuori dal proselitismo e dalle secche del clericalismo, verso una nuova era di sinodalità e testimonianza.

“Meglio tacere ed essere, che dire e non essere” scrive Ignazio nelle sue lettere, tutte partorite in prigionia e mandate a varie chiese cristiane, mentre il vescovo di Antiochia andava con gioia incontro al martirio, nel circo di Roma.

Le parole con cui descrive questa esperienza, nella sua lettera ai Romani, sono immortali, e mozzano il fiato ancora oggi.

“Scrivo a tutte le chiese, e a tutti annunzio che morrò volentieri per Dio, se voi non me lo impedirete. Vi scongiuro, non dimostratemi una benevolenza inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi sia dato di raggiungere Dio.

Sono frumento di Dio, e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore. 

È vicino il momento della mia nascita.

Abbiate compassione di me, fratelli. Non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo e alle seduzioni della materia chi vuol essere di Dio. Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo.

Lasciate che io imiti la passione del mio Dio. Se qualcuno lo ha in sé, comprenda quello che io voglio e mi compatisca, pensando all’angoscia che mi opprime.

Vi scrivo ora nel pieno possesso della mia vita. Vi scrivo che desidero morire.

Voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David; voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile. 

Non voglio più vivere la vita di quaggiù. E il mio desiderio si realizzerà, se voi lo vorrete. Vogliatelo, vi prego, per trovare anche voi benevolenza. Ve lo domando con poche parole: credetemi. Gesù Cristo vi farà comprendere che dico il vero: egli è la bocca verace per mezzo della quale il Padre ha parlato in verità. Chiedete per me che io possa raggiungerlo. Non vi scrivo secondo la carne, ma secondo il pensiero di Dio. Se subirò il martirio, ciò significherà che mi avete voluto bene.  

Se sarò rimesso in libertà, sarà segno che mi avete odiato”.

Giacomo Fagiolini