Il paradosso dei trattori
Il mondo agricolo, in tutta Europa, è in subbuglio.
Ha molte ragioni per sentirsi minacciato e molte cose di cui lamentarsi ma, paradossalmente, ciò che chiede sarebbe la sua rovina e la nostra. A voler essere maligni, si potrebbe pensare a un oscuro zampino politico dietro le proteste.
Quali sono le minacce al futuro degli agricoltori?
La prima è il cambiamento climatico.
È di oggi la notizia che gli ultimi otto mesi sono stati consecutivamente i più caldi di sempre. L’aumento della temperatura media e gli eventi climatici estremi, sempre più frequenti, hanno provocato e sempre più provocheranno danni gravi alla produzione agricola e all’allevamento. Secondo Coldiretti, nel 2023 l’effetto combinato delle alluvioni, della siccità e dell’aumento della temperatura ha ridotto del 70% la produzione di miele, del 60% quella di ciliegie, del 10% quella di grano e del 10% la produzione di latte in Italia. Ma quasi tutte le colture hanno subito danni. Secondo la FAO, negli ultimi 30 anni la perdita di raccolti e i danni agli allevamenti sono costati 3.800 miliardi di dollari.
L’assurda risposta degli agricoltori al grave problema è la richiesta di rallentare il green deal, finalmente voluto dall’Europa, mentre sarebbe loro primario interesse attuarlo.
Anche perché il green deal prevede la difesa della biodiversità, attraverso la riduzione dei pesticidi, il rimboschimento, la difesa di aree protette, la promozione dell’agricoltura biologica ed altro ancora: tutte misure a tutela del futuro dell’agricoltura.
I benefici di questa politica, se attuata, si riverberano non soltanto sulla salute dei consumatori (cioè di tutti noi) ma anche degli agricoltori stessi, che sono i primi ad ammalarsi e morire prematuramente per i veleni che usano. Ma l’obiettivo è anche salvare gli insetti impollinatori, senza i quali l’agricoltura è poca cosa, e la fertilità dei suoli, già notevolmente compromessa dalle pratiche agricole finora prevalentemente usate.
Lascio da parte gli aspetti economici della protesta, che mi sembrano più comprensibili. Oggi sull’agricoltura guadagnano molto bene in tanti, tranne gli agricoltori – o almeno molti di essi – che spesso a stento rientrano delle spese.
Ma su questo il governo ha detto che non interverrà, perché “dipende dal libero mercato”. Una posizione pilatesca: chi, se no, dovrebbe intervenire quando il “libero” mercato (o piuttosto le posizioni di oligopolio) danneggia un intero settore produttivo?
Mi sembra che sia stato profondamente sbagliato il metodo con cui le nuove normative (nazionali ed europee) sono state realizzate. Mi domando se e con chi le nuove regole siano state discusse, sia a livello europeo, sia a livello nazionale. Forse con alcune lobbies, rappresentative di interessi di parte e, soprattutto, dei gruppi più ricchi o politicamente introdotti. O con associazioni non del tutto rappresentative del variegato mondo agricolo.
Oggi le risposte della politica alle proteste sono state quanto mai deludenti. Dall’Europa è venuta un’incredibile e colpevole marcia indietro sulle regole del green deal: ciò che danneggia non solo la collettività, ma anche gli stessi agricoltori. Dall’Italia è venuto un sì al ripristino dei vantaggi fiscali, come se fosse questo il problema più importante; e, quel che è peggio, un rinforzo dei sentimenti più retrivi e dannosi, laddove esponenti del governo hanno affermato che il green deal è voluto dal “fanatismo ecologista” delle sinistre e dei verdi.
Ma non si è fatta la cosa più sensata, cioè aprire uno o più tavoli di trattativa seria con le diverse rappresentanze del mondo agricolo. Con un discorso chiaro, che potrebbe essere così sintetizzato: poiché il green deal è necessario e urgente, come collaborerete alla sua attuazione? come compensare i danni, se ne avrete? come armonizzare l’esigenza primaria della difesa dell’ambiente e della salute con le vostre esigenze?
Da qui, se volessero farlo, arriverebbero soluzioni utili non soltanto alle categorie in lotta, ma al mondo intero.
Cesare Pirozzi