Ouided Bouchamaoui, Premio Nobel per la pace nel 2015. «Così salvammo la Tunisia dalla guerra civile. Più donne ai tavoli»
Ouided Bouchamaoui, Premio Nobel per la pace, continua a sostenere che la politica ascoltò la società civile e che lei ebbe un ruolo che oggi troppe donne non hanno.
Le speranze erano state riposte tutte lì, nel Paese della Rivoluzione dei Gelsomini (o della Dignità) che era stato di ispirazione per le “primavere arabe” anche in Libia, Egitto, Siria e Yemen, ma che si era dimostrato l’unico a rimanere pacifico e a incamminarsi nella direzione di una transizione democratica. Nel 2013 è arrivata la prima, rischiosa, battuta d’arresto: una grave crisi politica, il Paese sull’orlo di un conflitto civile. È stato allora che una coalizione di organizzazioni si è fatta avanti, dando vita al cosiddetto Quartetto per il dialogo nazionale, che è poi riuscito nell’impresa di stabilire un confronto produttivo e di mediare un compromesso pacifico tra i principali attori della politica tunisina. Ventuno partiti, islamisti e laici, hanno lavorato insieme per l’adozione di una nuova Costituzione e verso elezioni parlamentari e presidenziali. Sul lungo periodo, non è bastato. A dieci anni da quell’impresa insperata, oggi il Paese vive una nuova congiuntura politica critica e un’involuzione verso una progressiva deriva autoritaria con il presidente Kais Saied, giunto al potere nel 2019 dopo libere elezioni e che appena due anni dopo ha costretto alle dimissioni il primo ministro e sospeso il parlamento.
Al tavolo del negoziato da protagonista per più di mille e cinquecento ore di incontri ufficiali in sette lunghi mesi di confronto, durante uno dei momenti più delicati della storia del suo Paese, quando il rischio che si scatenasse una guerra civile si era fatto reale e concreto. Unica donna di quella trattativa, è stata anche la prima a guidare l’organizzazione che in quell’assise lei rappresentava.
Era il 9 ottobre del 2015 quando dalla tv, Ouided Bouchamaoui ha appreso di aver vinto il Premio Nobel per la Pace, conferitole insieme agli altri componenti del Quartetto per il dialogo nazionale, per il contributo decisivo alla costruzione di una democrazia pluralistica in Tunisia all’indomani della Rivoluzione dei Gelsomini del 2011.
«Un momento che non si vive due volte», l’ha descritto lei, la Thatcher tunisina, come è stata soprannominata per piglio, tempra, stile e carattere.
Il Nobel per lei è stato un momento di consacrazione per il suo Paese, il mondo intero sentì parlare della Tunisia, poi è stata una soddisfazione personale,
perché hanno saputo mettere la nazione sulla buona strada, hanno evitato una guerra civile e soprattutto optato per il dialogo, che costituisce sempre la via per risolvere ogni tipo di conflitto.
Ouided Bouchamaoui, era al tavolo delle trattative come rappresentante dell’Utica. Eletta nel 2011 sembra non abbia incontrato ostacoli particolari in materia di patriarcato. In fondo è stata cresciuta in una famiglia in cui il padre imprenditore, credeva che le sue figlie dovessero essere emancipate.
La Tunisia, rispetto ad altri Paesi arabo-musulmani, è molto aperta in materia di posizione delle donne, hanno il Codice dello statuto personale (del 1956, uno dei primi atti della modernizzazione condotta da Habib Bourguiba), un testo rivoluzionario, che sancisce come le donne abbiano gli stessi diritti degli uomini. C’è poi l’istruzione obbligatoria per le ragazze e i ragazzi fino all’età di 16 anni. E decisamente è proprio attraverso l’istruzione che è possibile cambiare le tradizioni.
Quando le si chiede se ha mai avuto la sensazione che qualcuno mettesse in dubbio la legittimità del suo ruolo, risponde: «Non è mai successo, non ho mai avuto difficoltà né alla guida dell’Utica né quand’ero parte del Quartetto. Le persone mi hanno sempre giudicato per il mio modo di condurre le cose, più che per il fatto di essere una donna. Non ho avuto problemi e d’altra parte, francamente, non avrei permesso che qualcuno me li creasse. Quello che importava per me era avere una tabella di marcia e rispettarla. Abbiamo ricevuto minacce di morte, rivolte anche a me personalmente, non so in che misura motivate dal fatto che sono una donna. Erano un modo per intimidirci. Arrivavano affinché non continuassimo il dialogo. Questo, personalmente, mi ha reso molto più forte. E anche più responsabile nel tentare di trovare una soluzione per il Paese. Le minacce mi hanno resa più salda e mi hanno convinto che bisognasse proseguire quel lavoro.
A volte mi si chiede dove sia oggi l’eredità del Quartetto. Beh, noi quattro avevamo una missione ben definita, riuscire a portare a termine uno specifico processo e fare rispettare i contenuti della tabella di marcia del 2013. Abbiamo concluso il nostro compito nel 2014 con la nomina del capo del governo, la definizione delle date per le elezioni presidenziali e parlamentari, la designazione del comitato di controllo per il voto e con il completamento della Costituzione. Per noi l’essenziale era essere d’aiuto in quel periodo, per poi lasciare lavorare le istituzioni dello Stato. Io oggi sono principalmente un’imprenditrice, non mi occupo di politica. Ma penso che quello che abbiamo acquisito in termini di libertà resti tale anche tutt’ora, e che la Tunisia abbia un bagaglio di competenze e una certa apertura nei confronti dello scenario internazionale. È un Paese in cui la maggioranza della popolazione è costituita da giovani molto svegli e aperti, e questo lascia ben sperare».
Stefania Lastoria