Perdonatemi

“Perdonatemi, perdonatemi, perdonatemi…” sono le parole pronunciate più con il cuore e l’anima che con la testa, da Pozdnyšv, uxoricida, gridate da Francesco De Masi alla fine della rappresentazione: Sonata sulla via di Rossano.

Al teatro Argentina di Roma, liberamente tratto da Sonata a Krautzer di Lev Tolstoy, con la regia di Fabio Cavalli, va in scena la Compagnia dei detenuti ed ex detenuti attori del Carcere di Rebibbia, ormai sulle scene da tantissimi anni.

Attori che interpretano se stessi, con la forza intensa delle emozioni vissute riescono a trasmettere il senso di colpa presente in ognuno di noi.

Francesco De Masi, Juan Dario Bonetti, Giovanni Colonia, Leonardo Ligorio, Marcello Lupo, Giacomo Silvano, con la splendida voce di Irene Moretti e Andrea Nu si alle percussioni, mettono in scena la Sonata sulla via di Rossano. Affrontano tematiche attuali, quotidiane, sottolineando, in modo che può sembrare scabroso e contraddittorio, ciò che accade realmente tutti i giorni. Gli attori con grande capacità interpretativa, riescono a trasmettere il loro sentire, ad un pubblico attento, concentrato sulle sequenze dei dialoghi e della voce fuori campo. La critica alla società dei consumi, alle apparenze che sovrastano le sostanze, ad un modo di vivere che non giustifica l’uxoricidio, ma lo mette in mostra in tutta la sua crudele abberatezza. Un palco senza scenografia, rende più intensa e partecipata la rappresentazione, dove ognuno degli attori percepisce la sua parte come parte di sé stesso dentro una scatola dal quale uscire. Rompere gli schemi che trattengono le emozioni per liberarle dalle catene degli errori umani, rende umano il percorso del perdono invocato alla fine dello spettacolo. Il pubblico coglie ogni battuta, si emoziona, la mia amica Deborah, seduta vicino a me, si commuove, una lacrima gli solca il viso. “Sotto l’influenza della musica mi sembra di sentire ciò che in realtà non sento, di capire ciò che non capisco, di poter fare cose che in realtà non posso fare” una musica “maledetta” demoniaca, in grado di stravolgere la ragione e far compiere atti altrimenti contro natura. Non c’è giustificazione, il regista Cavalli ne è consapevole, ma vuole trasmettere tutta la scabrosità di un tema contraddittorio e difficile da trattare e gli attori sul palcoscenico riescono  a compiere il miracolo di rendere fruibile e un tema difficile da trattare: rinnegare le manifestazioni carnali e materiali della vita per abbracciare una spiritualità ascetica, utilizzando la Bibbia e i Vangeli come arma di persuasione. La conversione di Tolstoy è nella conversione degli attori, in grado di rappresentare ciò che non dovrebbe essere rappresentato se non con una nuova etica e morale.

Ognuno è parte di sé, con le sue tante contraddizioni, senza le quali è difficile essere liberi, ma ognuno è anche parte di sé quando riesce a partire con il treno giusto su un percorso in cui l’umiltà di chiedere perdono è la trasposizione del perdono che dovremmo chiedere ognuno di noi a ciascuno di noi, non essendo scevri dal peccato.

Claudio Caldarelli